DIGRESSIONE
Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana…
c’era una coppia di navigatori-sognatori, un po’ pazzerelli, che trascorreva molte ore dei fine settimana consultando atlanti e carte geografiche su internet. Sullo schermo scorrevano Stati dal nome esotico e dalle bandiere colorate che evocavano luoghi lontani e isole remote. Nel blu cobalto del Mar dei Caraibi, una manciata di puntini brillanti, l’etichetta che recitava: ‘Saint Vincent and the Grenadines’ e che esercitava un’attrazione magnetica irresistibile. E poi le immagini del satellite zoomate al massimo… “Guarda” – si dicevano i sognatori pazzerelli – “lì dobbiamo andarci assolutamente, magari una settimana di vacanza. Si piglia l’aereo e si va”.
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Il 30 Giugno alle 14:30 ammainiamo le vele e entriamo nella baia di Rodney Bay, St. Lucia. Tornare a St. Lucia evoca emozioni fortissime, un susseguirsi di flash-back, di immagini e di ricordi indelebili, piantati lì per sempre nel nostro cervello: una bolina con il buio, profumo di terra, una voce rassicurante al VHF – “Congratulations Y2K, you have completed the Atlantic Crossing” – urla di gioia, pacche sulle spalle, quel cavolo di tangone, il canale di ingresso al marina di Rodney Bay percorso con gli occhi gonfi e arrossati di pianto, Roby, la Tita e i suoi lacrimoni inarrestabili, un punch-rum notturno devastante. Tutto questo mentre ripercorriamo quel canale di ingresso e ci ormeggiamo in un marina semi-deserto, irriconoscibile fuori stagione (QUI il link al nostro precedente post sul ritorno a Santa Lucia).
Scegliamo Rodney Bay Marina perché dobbiamo completare alcuni lavoretti, inoltre è in arrivo dall’Africa un’onda tropicale rognosetta e preferiamo affrontarla ben protetti.
Approfittiamo della sosta per farci lucidare le fiancate, ingiallite e conciatelle, da un tuttofare rasta dal nome che è tutto un programma: Vision (!!!???). Quando lo incontriamo sui pontili e partono le presentazioni, immaginate le nostre facce al pensiero di quanta roba di alta qualità si erano fumati i genitori di costui per assegnare un nome simile al proprio figliolo… d’altronde siamo in zona eh ?
Il 7 Luglio è il momento di salutare l’isola che ci ha accolto e coccolato dopo la nostra traversata atlantica e continuare la nostra navigazione verso sud. Incredibile, folle, ma la nostra Y2K volge la prua verso quella manciata di puntini brillanti adagiati nel mezzo del Mar dei Caraibi, dal nome esotico e dalla bandiera coloratissima che ci avevano colpito un secolo prima.
Navighiamo con vento al traverso con la solita mano alla randa e tutto il genoa con un bell’Est sui 17 nodi. Dopo circa 44 miglia raggiungiamo l’isola di St. Vincent e proseguiamo di bolina a causa della rotazione del vento. Non ci fermiamo a St. Vincent – probabilmente sbagliando – ma il tempo stringe e vogliamo visitare bene tutte le altre isole e isolette e poi, tutte quelle voci e resoconti su alcuni attacchi alle barche ci fanno desistere. La nostra destinazione finale è la baia di Port Elizabeth, isola di Bequia.
Il vento, sulla costa caraibica di Saint Vincent muore del tutto e completiamo il nostro trasferimento a motore.
Ancoriamo nel tardo pomeriggio, verso le 19. Nonostante sia Luglio, ci sono molte altre barche in rada. Non siamo più abituati a un simile “affollamento”, ma è normale, a queste latitudini si incontrano tutti quei navigatori che hanno scelto di trascorrere la stagione degli uragani nel sud delle Antille.
La baia di Port Elizabeth è graziosissima, un pochino rollante. Noi riusciamo a trovare uno spazio un po’ più all’interno, non di molto, ma sufficiente ad evitare la risacca peggiore. Nella zona più vicino alla costa ci sono anche numerose boe. Molti di coloro che sono già passati di qui ci hanno sconsigliato l’utilizzo di questi gavitelli per via della loro cattiva manutenzione. Noi vediamo molte imbarcazioni, anche piuttosto grandi, ormeggiate alle boe e queste ultime non ci sembrano in cattivo stato. Ma visto che fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio e che noi facciamo sempre tesoro dei consigli di amici, ce ne stiamo belli tranquilli sulla nostra ancora.
E’ tardi, gli uffici sono chiusi e rimandiamo le pratiche di entrata alla mattina successiva.
Entrambi non ci sentiamo perfettamente in forma, siamo spossati e stanchi, Max ha una cefalea insistente alla zona oculare. Ce ne andiamo a dormire attribuendo i nostri sintomi alla navigazione e al sole che ha picchiato parecchio.
Il mattino dopo ci svegliamo altrettanto svogliati, ma ci obblighiamo ad armare il dinghy e ad andare a terra per fare le pratiche di entrata. Il villaggio è molto carino, lo specchio di mare costiero totalmente ridossato e fa un caldo pazzesco.
L’acqua è bella trasparente e una passeggiata in pietra corre lungo tutta la riva passando accanto a bed & breakfast, ristoranti, giardini lussureggianti, hotel e centri diving.
Completiamo le pratiche di entrata in breve tempo, aprire i nostri passaporti e vedere un timbro con su scritto “St. Vincent & Grenadines” ci dà una sensazione indescrivibile. Girovaghiamo in esplorazione. C’è un mercato di frutta e verdura, compriamo banane, mango, frutti della passione, qualche pomodoro. Compriamo l’immancabile SIM telefonica locale, questa volta con FLOW della AT&T.
Ci fermiamo ad un baretto, ci sediamo sotto un pergolato in mezzo alle piante, al riparo dal caldo e dal sole cocente. Osserviamo i locali, donne vestite di drappi variopinti, bambini stupendi dai sorrisi stupendissimi. Ci rinfreschiamo con un drink, poi ce ne torniamo in barca perché continuiamo ad avvertire un certo malessere.
Qui Ale si accorge che Max ha uno sfogo sul viso, sulle spalle e sul petto. Il rash è molto localizzato inizialmente, tanto da farci pensare ad una dermatite per le grandi sudate, poi, improvvisamente, prende vita propria e in poco tempo Max ne è interamente ricoperto. Che diavolo succede ? Dopo un breve consulto telefonico e lo scambio di qualche foto, il nostro amico farmacista Michele, prima ci invita a prenderci una vacanza nelle Dolomiti , poi ci raccomanda di recarci presso un medico locale. Insomma, per farla breve, prima Max, poi Ale ci becchiamo il virus Zika (QUI il link al post in cui raccontiamo la nostra disavventura).
Corpo di mille balene, ci mancava pure la stramaledetta Zika ! Colpa di quelle stramaledette zanzare tigre di Marin e di quell’inutile repellente alla citronella che – spiace per gli amanti del ‘naturale’ – con ogni probabilità quei diavoli ronzanti utilizzano come eau de toilette. Da adesso in avanti, solo roba chimica, sorry
Pazienza, ce ne stiamo rintanati in barca, ciondolando pieni di puntini rossi e di dolori, aspettando di guarire, mentre fuori arriva ventone e temporali portati dall’ennesima onda tropicale rognosa africana.
Il 14 Luglio stiamo un pò meglio… bhè Max è quasi guarito, mentre Ale è ancora conciata. Decidiamo comunque di lasciare Bequia e di dirigerci verso l’isola di Canouan che dista poco più di 17 miglia da Port Elizabeth.
Navighiamo con un Est sui 18 nodi con il solo Genoa, il mare è abbastanza formato, ricordo del tempo perturbato dei giorni precedenti, ma il tratto da percorrere senza ridossi è breve e la navigazione, seppure un pochino rollante, risulta piacevole.
Raggiungiamo l’isola nel primo pomeriggio e andiamo a ridossarci a nord di Grand Bay, all’interno di un’ansa chiamata Charles Bay. La parte più bella di Grand Bay si trova davanti ad una spiaggia meravigliosa di un resort super lusso, il Tamarind Beach Hotel gestito da Italiani e con un negozio di specialità Italiane. Purtroppo le condizioni del mare, ancora con questa ondona di risacca gonfia, rendono questo ormeggio poco confortevole. Ecco perché optiamo per Charles Bay. Un reef e la costa ovest di Canouan bloccano il mare e si sta decisamente bene.
Diamo ancora in 4 metri di acqua verde, fondo di sabbia, oltre a noi solo un’altra barca di francesi che dopo qualche ora salpa e se ne va. Rimaniamo totalmente soli, da una parte è piacevole, dall’altra ci trasmette uno strano senso di inquietudine. Di questi tempi e in queste aree del sud Caribe se ne sentono un po’ di tutti i colori.
Ben presto però, scopriamo che sulla costa a pochi metri da noi c’è l’edificio della Guardia Costiera di Canouan, con tanto di super motovedetta ormeggiata al pontile sottostante. Ecco ci sentiamo più sicuri
Mentre Ale desiste dal buttarsi in acqua a causa dei puntini “zikosi” ancora presenti, Max si fa una bella nuotata fino al pontile scoprendo che in mezzo ai pali di sostegno vive una quantità inquietante di aragoste. Dobbiamo precisare che alle Grenadine è VIETATISSIMA la pesca all’aragosta durante i mesi estivi per il fermo biologico, ma a tirarne su un paio per una spaghettata ci abbiamo seriamente pensato. Desistiamo solamente perché compiere questa operazione davanti agli occhi degli ufficiali della Guardia Costiera non è cosa buona e giusta… pazienza !
Restiamo a Canouan un paio di giorni, la nostra salute continua a migliorare, ma dobbiamo trascinarci il senso di spossatezza ancora per un po’. Il 16 Luglio ci muoviamo, dirigiamo verso la vicina isoletta di Mayreau, a circa 6 miglia da Canouan.
La navigazione è breve, il vento ballerino, inizialmente un Est sui 15 nodi che ci permette di aprire il Genoa. Poi ci aiutiamo con il motore fino alla nostra destinazione, una baietta posta a Sud Ovest dell’isola, Saline Bay. Esiste una caletta più conosciuta, Salt Whistle Bay e la sua spettacolare spiaggia, situata più a Nord, ma è in genere parecchio frequentata e non appena doppiamo il capo nord di Mayreau già vediamo un tot di alberi.
Salt Whistle Bay è piccolina e non abbiamo voglia di stare col patema di ancoraggi selvaggi e della solita gente che butta l’ancora dove gli pare, magari sulla tua, magari ci andremo a piedi come hanno fatto gli amici di Amaltea e del Paddy Boy.
D’altronde Saline Bay è una piacevolissima scoperta, ci piace un sacco! Inizialmente ancoriamo accanto al pontiletto del ferry posto a Nord della baia, poi una barca lascia un ottimo posto a centro cala e ci spostiamo.
Il mare è trasparente, la spiaggia dorata contornata da palme, a terra c’è un piccolo villaggio raggiungibile a piedi – si trova in collina, la salita per raggiungerlo non è proprio agevole – Qui c’è un minimarket non a buon mercato, dove è possibile acquistare i generi di prima necessità.
Sulla costa Est di Mayreau c’è un lago salato che val la pena di visitare. Noi non andiamo a causa delle nostre condizioni di salute, il solo camminare ci risulta faticoso e dobbiamo riposarci sdraiandoci molto spesso. Gli amici del Paddy Boy – Giuliana e Roberto – hanno visitato l’isola in lungo e in largo, e la consigliano senza indugio.
Restiamo a Saline Bay un paio di giorni, la baietta ci piace sempre di più e passiamo tanto tempo in spiaggia a godere di questo mare limpido e cristallino. Non facciamo praticamente niente a parte galleggiare nel mare e aspettare che i postumi della zika scompaiano del tutto.
Le ultime previsioni meteo danno un notevole calo dell’aliseo. E’ il momento di salpare e raggiungere uno dei luoghi più incantevoli del nostro Globo, la manciata di puntini turchesi e brillanti, le Tobago Cays.
Le Tobago Cays sono un gruppo di scogli, minuscoli isolotti e reef posti esattamente a Est di Mayreau, circondati da fondali sabbiosi di mare turchese. A causa della loro conformazione, non offrono alcun riparo dal vento che soffia sempre bello fresco a queste latitudini, quella di godersi questo luogo con l’aliseo debole sui 10 nodi al massimo, è quindi un’occasione imperdibile.
Le Tobago Cays sono un parco marino, gestite dai ranger che fanno la spola tutti i giorni dall’isola di Union, dove è il cuore nevralgico amministrativo di queste isole. C’è un campo boe gestito dai ranger, una notte 50 EC, i gavitelli sono nuovi e ben manutenuti, ma è possibile dare ancora praticamente ovunque sul fondo sabbioso facendo solo attenzione a non intralciare il campo boe.
Il 18 Luglio la nostra delta agguanta e sparisce completamente sotto la spettacolare sabbia poco più a Est tra gli isolotti di Petit Bateau e Jamesby. Ci ritroviamo in un luogo spettacolare !
Veniamo accolti da Willy che si affianca a Y2K, anche lui ogni giorno va e viene da Union e offre alcuni servizi agli yacht di passaggio: raccoglie la spazzatura, esegue piccole commissioni, porta frutta e verdura e la spesa su ordinazione, inoltre con i ranger del parco organizza barbecue sulla spiaggia di Petit Bateau al costo di 70 EC a testa.
Dalla sua lancia a motore sventolano le bandiere di mezzo mondo: manca quella italiana. Gli regaliamo una delle nostre e lui la issa subito tutto felice.
Come da previsioni, il vento molla e noi trascorriamo alcuni giorni meravigliosi, esplorando in lungo ed in largo la barriera corallina di Horseshoe Reef che, come indicato dal nome, è appunto a forma di ferro di cavallo. Il reef è molto grande e protegge dal mare tutta la zona. Le spiagge dei vari isolotti sono piccole oasi multicolori, gli angoletti più incredibili saltano fuori inaspettatamente dalle nostre “sortite” in dinghy, incontriamo piccoli squaletti pinna nera che pattugliano il bagnasciuga.
L’isolotto di Baradal apparentemente offre le condizioni ideali per le tartarughe marine che abbondano in queste acque. Le tartarughe vengono a nutrirsi nell’acqua poco profonda vicino alla costa sottovento di Baradal ed è possibile incontrare esemplari di notevoli dimensioni. Se non fosse per i postumi della zika, ancora presenti di tanto in tanto, e che ci costringono a periodi di riposo a bordo di Y2K, saremmo in esplorazione 24 ore su 24
Quando l’aliseo ritorna gagliardo sui 22 nodi, è tempo di lasciare le Tobago Cays e di proseguire. Ritorniamo a Saline Bay di Mayreau per passare una notte belli ridossati da mare e vento, poi ci dirigiamo verso Petit Saint Vincent, un’altra incredibile e bellissima scoperta.
Petit Saint Vincent si trova a Sud, Sud-Est di Union, è minuscola, protetta da un grande reef a Ovest, vicinissima all’isoletta di Petite Martinique che però appartiene allo stato di Grenada. Petit Saint Vincent è praticamente tutta un resort di super lusso e in cui vigono severissime regole per tutelare la privacy degli ospiti e non è ammesso circolare liberamente in spiaggia o all’interno dell’isola. Agli yacht di passaggio è permesso comunque ancorare nella zona Sud, in 3-5 metri, su fondo di sabbia super tenitore e andare a terra con il dinghy per un drink al bar del resort.
Consigliamo assolutamente questo ancoraggio, è fra i più belli che abbiamo avuto il piacere di visitare. Un posto totalmente tranquillo, poco affollato – tenete conto però che noi siamo qui a fine Luglio, quindi fuori stagione – ideale per trascorrere piacevoli giornate di mare, godendo di un panorama fantastico.
Pace e tranquillità assoluta, interrotta per brevi momenti soltanto dal via vai delle imbarcazioni di servizio del resort. Petit Saint Vincent è il luogo ideale per riprendersi totalmente dalla zika, decidiamo di rimanerci per qualche giorno. Approfittiamo anche del lounge bar del resort per berci una buona piña colada osservando Y2K all’ancora.
Unica nota stonata di questo ancoraggio, quando il vento soffia forte da Est, Sud Est, diventa rollante.
Il 22 Luglio, sebbene controvoglia, lasciamo il nostro ancoraggio incantevole di Petit Saint Vincent e facciamo rotta verso Union. E’ il momento di proseguire verso Sud e dobbiamo quindi completare le pratiche di uscita.
Gli uffici doganali sono nella città di Clifton, posta nella baia di Clifton Harbour, un luogo molto suggestivo, totalmente circondato da reef. C’è un reef anche nel bel mezzo della baia
Ancorare a Clifton Harbour può rappresentare una sfida. E’ possibile dare ancora, ma la zona è disseminata di gavitelli il cui costo è una barzelletta, 80 USD a notte. Lo spazio per ancorare un monoscafo è molto, molto poco, solitamente occupato. I catamarani hanno qualche chance in più, visto che l’area di acqua bassa vicino al reef è ampia. Noi siamo sfortunati e non troviamo un buco libero. Non abbiamo voglia di spendere tutti quei soldi, noi dobbiamo fare solo dogana, un paio di ore e basta. Mentre vaghiamo fra le barche ci si affianca un ragazzo locale, gestisce le boe. Cominciamo a trattare, gli spieghiamo che non abbiamo intenzione di fermarci, che restiamo poco tempo e che non siamo mica una barca charter disposta a pagare tutti quei dollari.
Alla fine della trattativa, il ragazzo ci concede di stare alla boa per 20 USD fino a mezzogiorno e ci aiuta con le cime di ormeggio. Non appena sistemati, saltiamo subito sul nostro dinghy e ce ne andiamo a terra per completare tutta la burocrazia al più presto.
Raggiunta la città, in breve tempo facciamo tutto e ne approfittiamo anche per acquistare dell’ottima frutta locale al mercato.
Come dicevamo, è un peccato dover andar via da questa baia così in fretta, il reef è molto bello, l’ormeggio piacevole. Per la vicinanza con Clifton è anche piuttosto frequentato, ma vale la pena approfondire.
Costeggiamo Union e ci spostiamo a Nord Ovest dell’isola. Qui c’è una baia ampia e splendida, con una bellissima e lunghissima spiaggia, circondata da vegetazione dai colori brillanti. Si tratta di Chatham Bay. E’ possibile dare ancora praticamente ovunque anche se la zona più ridossata è quella più a Nord della baia.
Ci fermiamo per passare la notte e diamo fondo in 5 metri di acqua color smeraldo su fondo di sabbia. Anche questo ancoraggio è pacifico e tranquillo, è molto ridossato, a volte possono arrivare alcune raffiche dalle montagne sovrastanti, ma niente di terribile. Il mare è un lago, davvero molto bello.
Se non fosse per un enorme catamarano charter che si ancora un po’ troppo vicino a Y2K – storia trita e ritrita con sti elementi qui – la notte passa tranquilla e senza un alito di vento.
Avremmo voluto godercele di più queste isole, non abbiamo visitato St. Vincent, abbiamo saltato Mustique e altri isolotti minori, non abbiamo girato tanti ancoraggi altrettanto belli. Un pochino la fretta di scendere a latitudini più sicure, un po’ la stramaledetta zika che ci ha lasciato malconci per tutto il periodo di permanenza alle Grenadine.
Sta di fatto che le Grenadine sono davvero una manciata di puntini brillanti in mezzo al Mar dei Caraibi, sono isole affascinanti, sono i veri Caraibi, sono bellissime.
E così, per chiudere e ritornare alla digressione precedente, Y2K, la protagonista indiscussa di questa avventura, ha trasportato la coppia di navigatori-sognatori un po’ pazzerelli dai sogni di una galassia lontana lontana, alla realtà del Pianeta Terra