La Nuova Caledonia è un territorio francese di oltremare e ne fanno parte le Isole della Lealtà (Marè, Lifou, Ouvea) e la grande isola di Grande-Terre. Quest’ultima è circondata da una grande barriera corallina che in alcuni casi è lontana anche più di 10 miglia dalla costa, specialmente nella parte sud, e che presenta numerose pass di accesso all’enorme laguna interna. L’isola dei Pini, la parte più meridionale, dista circa 760 miglia da North Cape, il punto più settentrionale della Nuova Zelanda. Noumea, la capitale, è invece a circa 380 miglia SSW da Port Vila, Vanuatu.
Dopo aver visitato le Vanuatu, un arcipelago caratterizzato da isole ricoperte da foresta tropicale, baie dalle acque torbide e profonde, picchi vulcanici e spiagge nere, le immagini comunemente diffuse su internet o negli opuscoli di note agenzie turistiche relative alla Nuova Caledonia lasciano intendere un territorio ben diverso. Palme, spiagge bianche, mare azzurro e trasparente, reef corallini. Insomma le classiche isole tropicali dell’immaginario collettivo. Dopo 3 mesi alle Vanuatu non vediamo l’ora di metterci a mollo, prendere fresco sotto ad un palmizio e nuotare per ore in mezzo ai pesciolini tropicali. Solitamente leggiamo e ci informiamo sempre prima di raggiungere una delle nostre destinazioni, questa volta invece no, siamo sicuri: la Nuova Caledonia è una delle tante isole tropicali del Sud Pacifico.
Errore macroscopico !
La Nuova Caledonia ha un microclima molto particolare, contraddistinto da due stagioni ben distinte, una calda e piovosa, una fresca e più secca e da due periodi intermedi.
La stagione calda, umida e piovosa va da Dicembre a Marzo (quindi durante l’estate australe e la stagione dei cicloni). In questo periodo le temperature raggiungono e a volte superano i 30°. La stagione fresca e secca va da Giugno a Settembre (questo è il periodo “buono” per la navigazione) e le temperature massime si aggirano mediamente intorno ai 24°. Le minime sono piuttosto fresche e raggiungono molto spesso i 17°. In certe condizioni meteo, tuttavia, con aliseo forte o con tempo perturbato le sere e le notti possono essere fredde con temperature che arrivano a toccare i 15°/12°. Inoltre il territorio, a causa della sua relativa “vicinanza” geografica con l’Australia e la Nuova Zelanda, è influenzato dalle basse pressioni e dalle correnti fredde provenienti dal Mar di Tasmania, il mare è sui 22°-24°. Insomma di tropicale, per come siamo abituati noi, c’è proprio poco ed è del tutto normale indossare felpe e pantaloni lunghi durante il giorno o durante gli spostamenti in barca da un ancoraggio all’altro. Non sempre è confortevole stare in costume da bagno, in modo particolare se c’è vento forte.
Il 7 Settembre 2019 lasciamo le Vanuatu e ci prepariamo ad affrontare 48 ore di navigazione fino a Noumea. Le nuove disposizioni dell’ufficio immigrazione e dogana del paese non permettono più alle imbarcazioni in arrivo di fermarsi alle Isole della Lealtà per fare le pratiche di ingresso o per una breve sosta, a meno di partecipare ad uno dei numerosi rally organizzati. Siamo obbligati a recarci nella capitale e a completare le incombenze burocratiche prima di recarci in un qualsivoglia altro ancoraggio. Le condizioni meteo marine sono ottimali, aliseo da Est sui 15-20kt, oceano tranquillo, cielo sgombro da nubi.
Manteniamo un’andatura confortevole al traverso, Y2K naviga veloce e riusciamo ad andare a vela per almeno 36 ore consecutive. La notte dell’8 Settembre il vento molla e accendiamo il motore. Rallentiamo perché vogliamo arrivare all’ingresso del Canale di Havannah, la pass principale a Sud Est di Grande-Terre, con la luce e, in particolare, con la corrente favorevole.
Il Canale di Havannah, nonostante sia largo e ben segnalato, non è da affrontare con superficialità. Il vento predominante, cioè l’aliseo da ESE, è perfettamente in linea con l’entrata della passe, in caso di corrente uscente e aliseo sostenuto o forte si possono creare onde ripide e importanti in grado di impensierire anche imbarcazioni a vela dotate di motori potenti.
Il 9 Settembre all’alba siamo in vista di Grande-Terre. Al mattino, con la corrente favorevole e pochissimo vento, attraversiamo il Canale di Havannah ed entriamo nella laguna interna. Noumea è a 34 miglia, dobbiamo attraversare tutta la baia di Prony, navigare poi verso Nord Ovest per le rimanenti 18 miglia fino all’ingresso della Grande Rade di Noumea.
I nostri amici Kiwi del catamarano “Gallivanta” ci raccomandano di utilizzare un’agenzia locale, la Noumea Ocean, per tutte le pratiche di ingresso e di uscita dal paese, mettendoci in contatto con Chloe. Nonostante le incombenze burocratiche siano totalmente gratuite, esse sono però un po’ laboriose perché è necessario spostarsi in 3 uffici differenti – dogana, biosecurity e immigrazione – situati in 3 punti differenti della città.
Le commissioni dell’agenzia per Y2K sono di circa 50 Euro, possono sembrare tanti se si pensa al fatto che le pratiche sono gratuite, ma ottenere tutti i documenti in 5 minuti, essere accompagnati in auto più volte a fare la spesa dopo aver consegnato tutti gli alimenti “proibiti” all’agente della biosecurity, poter contattare Chloe direttamente al telefono per qualsiasi informazione o emergenza e, infine, ottenere una SIM card senza limite di dati in abbonamento ad un prezzo super conveniente, cosa impossibile da ottenere per un qualsiasi normale turista, pensiamo valgano ben oltre il costo dell’agenzia.
Grazie a Chloe abbiamo un posto riservato presso il marina di Port Du Sud di Noumea (la tariffa giornaliera per Y2K è di 3.738 XPF o Franco Francese del Pacifico, pari a circa 31 EURO. 1 EURO = 120 XPF) dove arriviamo verso le 14:00 del 9 Settembre mentre la prevista brezza da SW che avrebbe dovuto mantenersi al di sotto dei 10kt si intensifica fino a soffiare furibonda sui 25-27kt.
Marina e Diego di “Meccetroy” ci aspettano sul pontile e ci aiutano con le cime. Meno male perché il SW entra bello sparato nel marina (aperto a SSW) e ormeggiare non è una passeggiata. Una volta sistemati, arriva subito Chloe con i documenti dell’immigrazione già pronti per noi, accompagnata dall’agente della biosecurity che in pochi minuti raccoglie gli alimenti non consentiti e ci dà l’OK per ammainare la bandiera gialla della quarantena.
Insieme a Chloe ci rechiamo in auto negli uffici della dogana dove tutto si svolge velocemente e senza intoppi. Ci accompagna quindi al supermercato per rimpinguare la cambusa e infine eccoci di nuovo a bordo di Y2K in marina. Siamo ufficialmente in Nuova Caledonia.
Dobbiamo aspettare qualche giorno prima di poter mollare gli ormeggi e incominciare ad esplorare il paese. Quando finalmente la meteo si ristabilizza un pochino e torna l’aliseo, lasciamo Port du Sud e Noumea – che francamente non ci piace più di tanto – e ripercorriamo le 30 miglia verso Sud per andarcene nella Baia di Prony.
Le previsioni non sono bellissime purtroppo, attendiamo il passaggio di un paio di deboli perturbazioni che provocheranno il solito giro di vento e una sua intensificazione dai settori Ovest. Per stare tranquilli, ci infiliamo dentro una specie di fiordo, a nord di Prony, dal nome di Baie du Carenage.
L’ancoraggio è riparatissimo a 360°, non c’è da temere alcun vento di alcuna intensità. Il fondo è di sabbia fangosa, molto più simile all’argilla, eccellente tenitore, con profondità che variano dagli 8 ai 12 metri. Una volta che l’ancora agguanta, viene “risucchiata” e non ci si schioda più.
Coordinate: 22°18,233 S; 166°50,620 E.
Baie du Carenage è circondata da colline di terra rosso scuro, a testimoniare la massiccia presenza di metalli come ferro e nichel, ricoperte da vegetazione bassa. La tranquillità, la pace e l’immobilità del mare di questo ancoraggio sono assolute. L’impressione è quella di trovarsi in mezzo ad un laghetto alpino. D’altronde anche le temperature aiutano a rafforzare questa immagine: durante la nostra permanenza, una mattina abbiamo registrato la bellezza di 12° e nebbia! E così eccoci in perfetta tenuta “tropicale”: pantaloni lunghi di felpa, maglioni di felpa, calzettoni pesanti
Non ci facciamo nuotate o bagni. Innanzi tutto fa freddo, poi l’acqua è torbida, color fango, e non invita certamente ad immergersi.
Il vento soffia forte e gira praticamente da tutte le parti. Noi ce ne stiamo belli rintanati all’interno della nostra oasi di tranquillità e ce ne andiamo a zonzo con il dinghy addentrandoci nei vari fiumiciattoli e budelli di acqua disseminati qua e là. Visitiamo anche una piccola cascata che riversa acqua dolce all’interno del fiordo.
Il paesaggio è sicuramente suggestivo, ma non ha nulla a che vedere con i topici. In alcuni momenti ci sembra di essere in Sardegna o in Corsica.
Alla fine stiamo fermi una settimana in attesa di previsioni meteo che possano essere decenti per la successiva tappa che ci siamo prefissati. Vogliamo andare alle Isole della Lealtà, più precisamente ad Ouvea, una delle più belle del gruppo. Dalla Baie du Carenage Ouvea dista circa 150 miglia, si tratta di navigare durante la notte per giungere a destinazione con la luce.
Ouvea è un atollo a forma di ferro di cavallo con una larga apertura verso Ovest. L’atollo non è interamente circondato dai motu, i lati Nord, Nord Ovest, Ovest e Sud Ovest offrono poco o nessun ridosso. E’ quindi importante visitare Ouvea quando la meteo è stabile e gli alisei soffiano costanti da Est-Sud Est.
L’entrata – dal nome di Passe du Coetlogon – è ampia, ben segnalata e non presenta pericoli di sorta. La navigazione all’interno dell’atollo lungo tutto il lato Est è sicura, i fondali si mantengono costantemente sugli 8-10 metri, tutta sabbia morbida, nessuna testa di corallo. La profondità del mare decresce lentamente mano a mano che ci si avvicina alla costa ed è possibile dare fondo in 4 metri di acqua, sempre su sabbia.
Lo specchio acqueo più a Nord Est è invece contraddistinto da duri fondali corallini ricoperti da un sottile strato di sabbia. Qui dare fondo e far agguantare bene l’ancora rappresenta una sfida più ardua.
Arriviamo ad Ouvea con un aliseo che tende a Est-Nord Est. Saltiamo quindi l’ancoraggio della baia di Mouli e ci dirigiamo verso Lekiny dove già sono ancorati i nostri amici del “Meccetroy”. Raggiunta la nostra destinazione, diamo fondo appena dopo il ponte di Mouli, verso nord, dopo un basso fondale sabbioso. Il ponte di Mouli unisce l’isolotto di Mouli all’isola principale di Ouvea e attraversa l’ingresso dell’ampia laguna interna della baia di Lekiny, un parco naturale bellissimo contraddistinto dalla falesia di Lekiny, patrimonio mondiale UNESCO, un’incredibile scarpata di roccia corallina alta decine di metri che emerge completamente durante la bassa marea.
Le coordinate sono: 20°41,688 S; 166°28,673 E.
Il posto è stupendo, molto, molto simile agli ancoraggi paradisiaci degli atolli delle Tuamotu: spiaggia bianchissima di sabbia soffice, mare cristallino e trasparente, sfumature dei turchesi e degli azzurri, palme. L’unico aspetto negativo è la temperatura: mare e vento sono freschetti. Per fare un bagnetto ce ne andiamo sulla spiaggia con il dinghy e ci troviamo un posticino il più ridossato possibile dalla vegetazione così da non essere soggetti alla brezza
Nelle giornate seguenti approfittiamo del bel tempo e del sole per esplorare l’area protetta della baia di Lekiny e aspettiamo la bassa marea per ammirare l’incredibile falesia che circonda la laguna.
Nella laguna è vietata la navigazione, è possibile spostarsi con il dinghy fino ad un certo punto, poi si deve proseguire a piedi. Una volta lasciati i gommoni, noi e l’equipaggio di “Meccetroy” ci troviamo un bel posticino su una spiaggetta per goderci il panorama e lanciare i droni. Ovviamente le riprese aeree della zona sono spettacolari.
L’alta falesia della baia offre uno spettacolo decisamente unico al mondo. Ci avviciniamo con l’acqua alla vita e solamente quando ci troviamo a pochi metri ci rendiamo conto di quanto la scarpata sia effettivamente imponente.
Nei giorni successivi l’aliseo ruota molto più a Est e si intensifica parecchio. Le previsioni confermano una bella brezza fresca sui 25kt con qualche raffica un po’ più forte sui 27-30kt. Insieme a “Meccetroy” decidiamo di spostarci di circa 7 miglia più a Nord e trovare un ridosso migliore sia rispetto all’angolo del vento, sia per quanto riguarda la conformazione della costa e la densità della vegetazione.
Scegliamo di dare fondo davanti al paesino di Banout, poco più a nord del piccolo aeroporto. Pirliamo una buona decina di minuti prima di riuscire far agguantare l’ancora come si deve, provando e riprovando più e più volte in varie zone differenti. Come anticipato all’inizio del post, in questa area il fondo marino è prevalentemente corallino e lo strato superficiale di sabbia non è sufficiente per far affondare bene qualsiasi ancora. Alla fine la nostra Mantus si incastra fra una roccia e una chiazza di sabbia più morbida e grazie al cielo rimaniamo fermi.
Le coordinate sono: 20°37,261 S; 166°32,924 E.
Filiamo quasi 40 metri di catena su un fondo di 4 che con la bassa marea arriva a 2,8mt. Già la sera il vento comincia ad aumentare parecchio e la mattina dopo ci ritroviamo sotto raffiche di una trentina di nodi.
Lasciamo che il ventazzo si sfoghi ed insieme a Marina e Diego ce ne andiamo a terra a cercare un market. Lo troviamo nella via interna che conduce all’aeroporto, basico, ma troviamo tutto quello di cui abbiamo bisogno. La signora che gestisce il market è cordiale e simpatica, come del resto tutti i locali Canachi (gli abitanti indigeni della Nuova Caledonia) che ci capita di incontrare.
Sulla via del ritorno scorgiamo un hotel che ha anche un ristorantino caratteristico con i tavoli disposti sotto un pergolato circondato da piante di buganvillea. E’ l’Hotel le Beauprè a gestione familiare e molto molto carino. Ci attira e ci sediamo per un ottimo pranzo con vista sulla spiaggia e sulle nostre due barche che brandeggiano alla forte brezza.
Dopo due giorni l’aliseo si calma e ruota più a Est-Sud-Est. Ci spostiamo di nuovo, navighiamo per circa 5 miglia verso Sud e diamo fondo in 4 metri di acqua davanti al paese di Lekiny ma più a Nord rispetto al nostro primo ancoraggio.
Coordinate: 20°41,373 S; 166°29,283 E.
“Meccetroy” lascia Ouvea e ritorna verso Grande-Terre, noi invece ci fermiamo ancora qualche giorno. Ci fanno visita le tartarughe, presenza massiccia alle Isole della Lealtà, e un paio di delfini che incredibilmente si avvicinano tantissimo alla costa per cacciare in pochi metri di acqua.
Per ritornare a Grande-Terre lasciamo Ouvea la mattina prestissimo, facciamo rotta diretta verso Sud e navighiamo per circa 76 miglia fino alla passe di Toupeti. Trascorriamo una notte tranquillissima ancorati nella Anse Toupeti dell’isolotto omonimo. Sia l’isola di Toupeti che l’isolotto Nemou si trovano all’interno di una baia più grande e molto protetta chiamata Baie de Port-Bouquet.
Le coordinate del nostro ancoraggio sono: 21°41,336 S; 166°25,494 E.
Ritroviamo le colline di terra rossiccia, la vegetazione bassa, qualche palma e il mare pulito, ma torbido. Piove a dirotto per quasi tutta la notte.
La mattina successiva è una bella giornata di sole. Dobbiamo navigare per ulteriori 73 miglia costeggiando la grande isola, prima in direzione SE, poi attraversando nuovamente il Canale di Havannah, quindi ridossandoci per la notte nell’ancoraggio a Ovest della baia di Port Boise.
Coordinate: 22°21,204 S; 166°57,190 E.
Anche questo ancoraggio è molto tranquillo e ben protetto anche dalle brezze da SE. La spiaggia è circondata da alti pini dalla forma caratteristica che a quanto pare crescono e prosperano soltanto in questa terra.
Da Port Boise navighiamo per 36 miglia fino al caratteristico ancoraggio nella baia di Ile Uere. L’isolotto ha una perfetta forma a ferro di cavallo e la sua baietta è molto ridossata da SE, S, SW. Il pomeriggio del nostro arrivo, però, l’area è parecchio affollata da numerose barche partecipanti ad un rally e noi siamo costretti a dare fondo parecchio a Nord, in una posizione che rimane un pò scoperta da Est.
Coordinate: 22°18,720 S; 166°28,560 E.
La notte è tranquilla, ma al mattino del giorno dopo l’aliseo rinforza parecchio e tende a ruotare più a Est. Cominciamo a ballare in maniera fastidiosa, nessuna delle altre barche è intenzionata a muoversi così decidiamo di andarcene a Ilot Maitre, un isolotto corallino, tipo motu, a Sud della baia di Noumea e distante sole 4 miglia dal nostro attuale ancoraggio.
Ilot Maitre è di forma rettangolare ed insieme al suo largo reef a forma di triangolo offre una buona protezione dai venti da E, SE, ESE, ENE. Le autorità marittime hanno installato un ampio campo boe gratuito e ben manutenuto nella parte sottovento, davanti ad un resort molto “yacht friendly”. E’ anche possibile dare fondo, ma tenendosi più discosti dalla costa in modo da filare l’ancora su un’ampia zona sabbiosa senza danneggiare i numerosi coralli presenti tutto intorno all’isolotto.
Il vento è sostenuto sui 20-22 kt, dobbiamo affrontare una bolina per lasciare Ile Uere, poi poggiare un po’ e metterci in rotta. La laguna è parecchio agitata con onde ripide e frangenti, fra uno spruzzo e l’altro, ci pigliamo qualche bella lavata, ma siamo delle vere e proprie schegge e la navigazione scomoda dura poco. In 30 minuti siamo a ridosso del reef a nord dell’isolotto, in tutta calma sistemiamo le vele, quindi agguantiamo uno dei numerosi gavitelli liberi nella zona più a Sud.
L’ancoraggio è bello, il mare è trasparente e pieno di coralli (bhe, insomma… nulla a che vedere con la Polinesia eh ?). Peccato, ancora una volta, che sia il mare che il vento forte siano decisamente freschi. Stiamo alla boa per 3 giorni senza fare il bagno, gli unici ad immergersi e a fare snorkeling sono i Kiwi. Ma loro, si sa, non fanno testo
Ritorniamo brevemente a Noumea per una sosta tecnica. Questa volta diamo fondo nella baia di Noumea e ce ne andiamo con il dinghy a fare la spesa al Carrefour. Quindi via veloci verso la prossima baia che si trova a Nord Ovest e che dista circa 10 miglia.
Si tratta di Baie Maa, ampia, molto ben ridossata, fondo di sabbia eccellente tenitore. Questa baia rappresenta davvero un ottimo ancoraggio, in modo particolare con forti venti da E, SE, NE.
Coordinate: 22°12,678 S; 166°20,220 E.
C’è una lunga spiaggia che gira intorno al capo Pointe Campenon, perfetta per delle belle passeggiate, e un isolotto minuscolo a Sud Ovest della baia che è possibile raggiungere a piedi durante la bassa marea.
A poca distanza dalla baia di Maa, a circa 7 miglia in direzione Ovest Sud-Ovest, c’è Ilot Mbe Kouen che rappresenta una bella meta per un ancoraggio diurno. Si può sostare anche la notte, ma solamente nel caso in cui la meteo preveda vento molto debole e preferibilmente stabile da Est, altrimenti durante l’alta marea si balla parecchio.
Per goderci al meglio Mbe Kouen, partiamo molto presto da Baie Maa, quando l’aliseo è comunque sempre molto tranquillo. La navigazione è facile e aggirare i numerosi scogli, reef e isolette non è un problema perché la cartografia è molto accurata.
Diamo fondo in 4 metri, sabbia. Ce ne andiamo a terra con il dinghy sperando di poter fare un bagnetto dalla spiaggia visto che il mare è bello trasparente, ma l’acqua è fredda e riusciamo ad immergere soltanto i piedi.
Dopo pranzo l’aliseo si intensifica come da previsione e cominciamo a ballonzolare, issiamo l’ancora e ce ne ritorniamo a Baie Maa dove siamo sicuri di trascorrere una notte tranquilla, perfettamente immobili.
Continuando a navigare verso Nord, troviamo un buon ridosso nella baia di Timbia, a circa 13 miglia da Baie Maa. Diamo fondo in 3,5 metri, sabbia. Siamo ben protetti, c’è una bella spiaggia. Vogliamo fermarci qualche giorno per scendere a terra ed esplorare la zona. Sappiamo che nel paesino vicino c’è un ristorantino dove – ci dicono – si mangia bene.
Coordinate: 22°08,330 S; 166°13,190 E.
I nostri piani vanno a remengo dopo neanche 24 ore perché nel pomeriggio si alza una brezza da Nord Ovest che rende il nostro ancoraggio esposto al fetch e poco confortevole. Siamo costretti a issare l’ancora e a ridossarci 6 miglia più a Nord, nella Baie di Uitoe.
Coordinate: 22°05,350 S; 166°08,760 E.
Scopriamo così che Grande-Terre, per la sua orografia, è soggetta ad un regime di brezze durante le ore notturne. In pratica, in assenza di basse pressioni o perturbazioni, l’aliseo si intensifica a partire dalle 10:30 del mattino per raggiungere il picco massimo intorno a mezzogiorno. Nel pomeriggio dopo le 16, l’aliseo comincia ad attenuarsi fino a lasciare spazio alle brezze di terra che sulla costa Ovest dell’isola tendono a provenire da Nord, Nord Ovest. L’ennesima stranezza della Nuova Caledonia e altro fattore da tenere conto quando si cerca un ridosso per la notte.
Proseguiamo l’esplorazione della costa Est di Grande-Terre navigando verso Nord. Ci infiliamo in un canale navigabile che si snoda fra il promontorio di Uitoe, Ile Ndukue e Ile Mathieu, circondato da bassi fondali e reef. Il canale è segnalato molto bene sulla cartografia, ha una profondità minima di 4 metri nel tratto più a Nord vicino a Ile Mathieu, quindi curva verso Est e a questo punto si apre un’ampia baia in cui è possibile dare ancora praticamente dappertutto. Il fondo è di sabbia, ottimo tenitore e la profondità media è di circa 6-4 metri.
Scegliamo di dare fondo a Nord di Pointe Caouritta e non nell’area consigliata dai portolani, cioè ancora più a Nord Est, poiché la brezza tende ad arrivare più da SSE che da SE e c’è una piccola lingua di sabbia dove sorge una specie di minuscolo Yacht Club che ci ripara bene dall’ondina che si forma nel canale di accesso.
Coordinate: 22°04,977 S; 166°07,120 E.
Riusciamo ad avvicinarci molto alla riva, il fondale rimane mediamente su 4 metri e degrada molto dolcemente.
Scendiamo a terra in esplorazione del mini Yacht Club che ci sembra in stato di abbandono da qualche tempo. A terra non c’è nulla, cespugli qui e là, alberi rinsecchiti, la solita terra rossiccia, qualche vecchio corallo sbiancato dal sole. Di fare il bagno non se ne parla neanche: l’acqua è torbida e il vento da Sud è gelido.
L’arrivo di una debole bassa pressione dal Mar di Tasmania fa ruotare il vento a Ovest, Sud Ovest per un paio di giorni. Ci spostiamo di 5 miglia verso Ovest, Nord Ovest e diamo fondo in una baia molto riparata a Est di Ile Hugon. Scegliamo un angoletto con un fondale di circa 6 metri di sabbia e fango.
Coordinate: 22°03,870 S; 166°02,980 E.
Siamo soli, non si vede altra imbarcazione o segno di vita. Il panorama è desolante, colline brulle, terra riarsa.
Ce ne andiamo a terra durante la bassa marea in modo da spiaggiare il tender in maniera più agevole. Il paesaggio è surreale: arido, spoglio, tutto è sbiancato dal sole. Ci sono pochissimi alberi vivi dal tronco contorto, le spiagge fangose sono disseminate di resti di arbusti secchi e sbiancati.
Le colline sono ricoperte da bassi cespugli riarsi, non c’è nulla di nulla per chilometri, solo capre. Da subito ribattezziamo questo luogo deserto “La desolazione di Smaug” dal film di Tolkien “Lo Hobbit”.
Durante una delle nostre passeggiate giornaliere in spiaggia, abbiamo la bella sorpresa di trovare una conchiglia di Nautilo – specie che abbonda nelle acque della Nuova Caledonia, tanto da diventare il simbolo ufficiale dell’arcipelago – praticamente intatta, perfetta nella sua incredibile forma geometrica e nel suo colore dai tratti rossi caratteristici, simili alle pennellate di un artista.
Ce ne stiamo buonini all’ancora fino al ritorno dell’aliseo, poi facciamo una veloce tappa a Noumea per incontrare i nostri amici Raffa e Giovanni di “Obiwan”. Non li vediamo da Tonga, dallo scorso anno e purtroppo non possono fermarsi molto, partecipano ad un rally, sono diretti in Australia e devono lasciare la Nuova Caledonia a breve per sfruttare una buona finestra meteo.
Pranziamo insieme a bordo dell’”Obiwan” ricordando con nostalgia e “bei tempi” delle Tuamotu. Ci salutiamo dandoci appuntamento in Nuova Zelanda dove hanno intenzione di trascorrere qualche settimana a zonzo su un mini-caravan.
Ricominciamo la nostra navigazione verso Nord, nella speranza di un rialzo delle temperature, sempre mediamente sui 24°, e di scoprire qualche ancoraggio un pochino più caratteristico e piacevole.
Navighiamo in
direzione Nord Ovest in mezzo ad una serie di isole e isolotti che offrono tutte quante lo stesso identico spettacolo: baie sicure e ridossate, ma mare torbido e desolazione assoluta. Passiamo Ile Ducos, Ile Lepredour, Ile Puen.
Lasciamo a sinistra Pointe Moziman di Ile Puen e dirigiamo verso Sud per raggiungere Ile Tenia che dista circa 6,5 miglia dalla nostra attuale posizione e che si trova molto vicina alla grande barriera esterna.
Ile Tenia è un isolottino a forma di virgola circondato da spiagge bianche e acqua azzurra. I fondali sono molto bassi e non è possibile avvicinarsi più di tanto a terra a meno di navigare su un catamarano. Diamo fondo in 3,5 metri e praticamente siamo comunque in mezzo alla laguna.
Coordinate: 21°59,887 S; 165°55,870 E.
E’ fondamentale visitare l’isolotto con aliseo debole e mare calmo, visto che l’ancoraggio è aperto e scomodo, praticamente è come essere ne più ne meno in mezzo al nulla.
Grazie ad una temperatura esterna leggermente più alta del normale e al riparo offerto dalle mangrovie a terra, incredibilmente, riusciamo ad immergerci fino al collo. E’ il TERZO (T E R Z O !!) bagno dell’intera stagione, Vanuatu comprese. L’acqua è gelida e il passaggio gambe-panza è traumatico. Nuotare è impossibile, non ci pensiamo manco morti a mettere la testa sotto la superficie, non siamo così coraggiosi.
Nel pomeriggio ci trasferiamo a Nord di Ile Lepredour, ma l’ancoraggio è davvero brutto e si balla parecchio a causa della corrente di marea e delle raffiche provenienti da Canal Lepredour, a Est di dove abbiamo dato fondo.
Scappiamo velocemente e diamo ancora nella piccola e confortevole baia a Nord di Ile Puen, a Est di Pointe Moziman. L’ancoraggio è ben ridossato e passiamo una notte tranquilla.
Coordinate: 21°57,776 S; 165°56,790 E.
Le previsioni meteo ci mostrano un sistema frontale in arrivo (‘naltravolta…) e il conseguente deterioramento delle condizioni meteorologiche. Questa volta i grib scaricati con l’applicazione PredictWind ci mostrano totale accordo fra i quattro modelli matematici che siamo soliti consultare: il vento da SSE sarà molto forte con raffiche che possono raggiungere i 40 kt.
Carte alla mano, individuiamo un posto sicuro in cui infilarci e aspettare tranquilli il tempo necessario affinché la buriana passi. Identifichiamo la baia di Ouano, a circa 25 miglia a Nord, Nord Ovest rispetto alla nostra posizione.
Dopo una navigazione confortevole con il vento di poppa, raggiungiamo la nostra destinazione. La baia si apre dopo aver navigato un lungo canale in mezzo a bassi fondali di sabbia, rocce coralline e reef. Il canale è ben segnalato da fanali verdi e rossi, non si può sbagliare. Al termine del canale si apre una baia praticamente chiusa a 360°, ma molto ampia.
Non è possibile avvicinarsi troppo alla costa perché ai lati il fondo è molto basso. La profondità media in tutta la baia è di 5-4 metri, fango, eccellente tenitore. Cerchiamo di andare il più avanti possibile e diamo fondo poco distante ad alcune barche ormeggiate a gavitelli privati.
Coordinate: 21°50,551 S; 165°49,800 E.
La cala è davvero chiusa e ben protetta, in modo particolare da Est. Tuttavia essendo molto estesa in direzione Sud, Sud Est ed essendo la costa lontana almeno un miglio dalla nostra posizione, immaginiamo che con il ventone in arrivo avremo un fetch non indifferente.
Ci raggiungono Marina e Diego di “Meccetroy”, insieme studiamo l’area per identificare un buco più ridossato in caso le cose si mettano al peggio e l’ancoraggio diventi poco confortevole.
Scorgiamo una specie di piccolo fiordo, forse c’è la possibilità di ancorare subito dietro ad un mini isolotto di nome Ras. Nel frattempo arriva la buriana e già con 20kt ci rendiamo conto che il fetch è importante. Quando il vento supera i 25kt cominciano a formarsi ondine fastidiose sul mezzo metro e le due barche iniziano a beccheggiare sgradevolmente.
Max e Diego partono in avanscoperta con il dinghy, verificano le profondità con l’ecoscandaglio portatile, controllano lo spazio a disposizione per manovrare e tornano indietro con un bel sorrisone stampato sulla faccia. Possiamo spostarci dietro Ilot Ras che, fra le altre cose, è interamente ricoperta di fitte mangrovie e offre un ridosso perfetto.
Per arrivare a destinazione dobbiamo navigare per circa 4 miglia, percorrere a ritroso tutto il canale di entrata a Baie Ouano, virare a dritta per evitare un grosso reef, quindi virare ancora a dritta e volgere la prua a Est, infilandoci in uno stretto passaggio largo circa 200 metri e mantenendo la sinistra.
Superati bassi fondali e reef, arriviamo a ridosso di Ilot Ras e diamo fondo il più vicino possibile a riva in 3,5 metri di fango. Siamo protettissimi, il mare è piatto e le raffiche più violente le registra solamente l’anemometro in testa d’albero.
Coordinate: 21°49,780 S; 165°48,710 E.
Ce ne stiamo rintanati per quasi una settimana mentre fuori dalla baia la brezza supera i 30kt, la laguna ribolle e da Noumea arrivano notizie di rafficozzi oltre i 40kt.
Passato il fronte ci rimettiamo in navigazione. Volgiamo la prua in direzione Nord Ovest e puntiamo verso Baie de Nessadiou. La laguna interna non è accessibile in questo tratto e dobbiamo uscire dalla Passe d’Ouarai per navigare in oceano aperto le successive 32 miglia.
Baie de Nessadiou è molto deludente. Il paesaggio è sconfortante, il mare una fanga marrone, la cala è protetta, ma entra una leggera risacca. Diamo fondo in 4 metri, fango ottimo tenitore.
Coordinate: 21°38,244 S; 165°28,430 E.
Insieme all’equipaggio di “Meccetroy” decidiamo di passare la giornata in un posto meno deprimente. Recuperiamo tutto l’occorrente per un picnic e ce ne andiamo in gommone alla vicina Ilot Vert, praticamente un isoletta minuscola circondata da una bella spiaggia bianca. L’aliseo, come di consueto, rinforza verso mezzogiorno toccando i 23Kt, così arriviamo a destinazione bagnati fradici.
Qui abbiamo un incontro ravvicinato con una delle creature più velenose del mondo: il serpente di mare tipico di questa zona del Sud Pacifico. La specie che vive numerosa nelle acque fra Tonga, Vanuatu e Nuova Caledonia è caratterizzata da un corpo affusolato e liscio, una coda piatta, alta e sottile adatta al nuoto, molto simile ad una pinna, una testa e una dentatura minuscole e, infine, una livrea a strisce verticali sul bruno-giallognolo e nere.
Queste simpatiche creature sono mansuete e non attaccano mai a meno di spiacevoli incidenti del tutto casuali, come, ad esempio, se le si calpesta accidentalmente, oppure se vengono infastidite pesantemente. Non sempre nei loro attacchi iniettano veleno ed è molto difficile che la loro minuscola mandibola possa riuscire a mordere con successo superfici estese. Generalmente riescono a mordere solo in mezzo alle dita delle mani o dei piedi. Nonostante questo rettile non sia ritenuto “pericoloso” per l’uomo, appunto per la sua natura mansueta, Il suo veleno contiene una delle tossine più potenti conosciute in natura che lo porta ai primi posti della classifica fra gli animali più fatali del pianeta.
Il nostro amico strisciante decide di curiosare per una buona mezzora fra le borse, i cesti e le cibarie disposte sulla spiaggia per il nostro picnic. Lo osserviamo tenendoci a distanza di sicurezza (che sarà anche un serpentello tranquillo, ma non si sa mai ) mentre lui ci ignora bellamente e continua la sua gita in mezzo alle nostre cose, “sniffando” a destra e a sinistra con la sua linguetta biforcuta.
La sera, davanti ad un buon piatto di spaghetti, consultiamo le carte e discutiamo sulla prossima tappa. C’è una una zona di isolotti e baiette a 48 miglia a Nord Ovest dalla nostra attuale posizione. Anche in questo caso dobbiamo navigare in oceano per poi rientrare attraversando la Passe de Mueo.
Ci muoviamo la mattina successiva di buon’ora, sempre in compagnia di “Meccetroy” e raggiungiamo la nostra destinazione verso le 13:00. Diamo fondo davanti Ile Grimault, un isolotto che offre un discreto ridosso dai venti di SE.
Coordinate: 21°21,142 S; 164°59,290 E.
L’isolotto è circondato da una bella spiaggia, ne approfittiamo per sgranchirci un po’ le gambe. A nord c’è il promontorio di Nepoui sul quale sorge l’omonimo paesino. C’è anche un grosso molo in cemento dove attraccano le navi che arrivano per caricare i minerali estratti dalle cave e dalle miniere della zona. Anche qui il paesaggio lascia molto, ma molto a desiderare tanto che Diego decide di interrompere la sua esplorazione verso il nord di Grande Terre e ricominciare a scendere verso Noumea.
Noi siamo un pochino più testardi o forse non vogliamo rassegnarci all’idea di una Nuova Caledonia così al di sotto delle nostre aspettative. Così proseguiamo la nostra avventura spostandoci di ancoraggio in ancoraggio: Baie Chasseloup (non male, ma mare marrone), Baie Gomen (forse uno dei posti più deprimenti di tutta la Grande Terre), infine Baie de Tanle, uno specchio acqueo molto protetto, circondato da reef e isolette dove sono presenti numerose baiette in cui poter dare fondo.
Il posto non è male, il mare è trasparente e il fondo sabbioso. Gli ancoraggi sono riparati e sicuri, ma niente bagnetti perché fa freddo. Le isole e la costa sono sempre uguali, abbastanza deprimenti.
Rimaniamo per qualche giorno fermi. Durante le ore diurne ci spostiamo e visitiamo i vari ancoraggi, per la notte, invece, diamo fondo davanti a Ile Boh, ridossati dalle brezze di terra da N e NE.
Coordinate: 20°16,181 S; 164°05,390 E.
Ci sarebbe anche un altro posticino molto più protetto a nord di Pointe de Bouerbate dove abbiamo dato ancorato una sola volta. Ma il fondo è roccioso ed è difficilissimo far agguantare l’ancora. Al primo tentativo abbiamo una fortuna incredibile e riusciamo a trascorrere una notte tranquilla.
Coordinate: 20°17,817 S; 164°04,817 E.
Quando ci riproviamo un paio di giorni dopo la sorte non è ugualmente benevola e non c’è verso di far agguantare l’ancora.
Alla fine desistiamo anche noi dal proseguire oltre verso Nord. Abbiamo capito che la parte più bella di Grande-Terre si trova comunque tutta nella zona sud. Il 5 Novembre volgiamo la prua verso Sud, facciamo un paio di tapponi lunghi un’ottantina di miglia interrompendo la nostra discesa solamente per ripararci da una sventolata da W che porta temporali e pioggia. Ci infiliamo di nuovo nella Baie di Nepoui, questa volta diamo fondo a Ovest del promontorio di Nepoui e lasciamo che il brutto tempo si svampi durante la notte.
Il 9 Novembre siamo di nuovo ormeggiati ai pontili di Port du Sud. E’ tempo di incominciare a studiare bene la meteo e attendere una buona finestra per rientrare in Nuova Zelanda. La stagione dei cicloni incombe e già molte barche hanno lasciato il paese verso i porti sicuri Kiwi e australiani. Rimpinguiamo la cambusa con il necessario per la traversata e per vivere il tempo necessario prima della partenza.
Contattiamo Chloe e le diciamo che siamo pronti per l’uscita ufficiale dalla Nuova Caledonia. In poche ore il foglio di “clearance” è nelle nostre mani e possiamo lasciare il marina.
Ci fermiamo al distributore del marina di Port Moselle per effettuare il pieno di gasolio e ce ne andiamo al gavitello di Ilot Maitre dove il mare è trasparente per pulire bene la carena. Un freddo cane !
Decidiamo di aspettare la finestra meteo all’Isola dei Pini, il punto più meridionale della Nuova Caledonia e il più vicino alla Nuova Zelanda.
Facciamo tappa a Baie Majic, nella Baia di Prony. Questa baia è all’interno di un parco naturale, ci sono dei gavitelli gratuiti molto ben manutenuti ed è molto protetta.
Quindi il 18 Novembre lasciamo Grande Terre e navighiamo 40 miglia verso Sud Est, direzione Isola dei Pini. E’ una giornata tranquilla, c’è poco vento e il cielo è sgombro di nubi.
L’Isola – insieme alle Isole della Lealtà – è uno dei pochi luoghi di tutta la Nuova Caledonia in cui la comunità dei Canachi (o Kanak) è massicciamente presente. La convivenza fra Kanak e Francesi è sempre stata difficile e in bilico dopo i brutti fatti dell’epoca coloniale. Si regge su un sottile equilibrio e sui numerosi aiuti che Parigi invia in questa terra. I Kanak stanno lentamente riacquistando consapevolezza delle proprie origini, cultura e tradizioni e basta un nulla per mandare all’aria tutto quanto.
Un incidente di cui è stato vittima un motoryacht e avvenuto ad Ouvea la scorsa stagione, insieme ad una sfortunata casualità per cui 30 barche iscritte ad un rally si sono ritrovate tutte insieme nella medesima baia dell’Isola dei Pini hanno creato tensioni importanti fra le due parti.
Il consiglio Kanak ha quindi applicato delle restrizioni a tutte le imbarcazioni che raggiungono Ile des Pins. Non è più possibile ancorare liberamente, ma si deve necessariamente dare fondo nella baia di Kuto,
Una volta a destinazione, è possibile recarsi all’ufficio della Gendarmerie situato poco distante e chiedere informazioni relativamente a quali baie è possibile visitare e dove è consentito ancorare. Gli ancoraggi “aperti” alle barche cambiano a seconda dei mesi e delle stagioni, in base alle esigenze di pesca dei locali.
Noi siamo in uscita dal paese e ci fermeremo lo stretto necessario mentre aspettiamo la finestra meteo propizia. Y2K rimane tranquilla all’ancora nella baia di Kuto, noi visitiamo l’isola con un auto a noleggio.
La Baia di Kuto è lo scalo principale dell’isola, dove attraccano i traghetti veloci provenienti da Noumea e le navi che trasportano i rifornimenti. L’ancoraggio è molto carino, l’acqua del mare è azzurra, un po’ lattiginosa a causa della sottilissima sabbia bianca. Il fondo è tutta sabbia e l’ancora agguanta perfettamente.
E’ protetta molto bene dall’aliseo predominante, ma anche dalle brezze da Nord, NE e S. In caso di SW, Ovest o NW è meglio cercare riparo altrove perché vento e mare entrano diretti. La baia è comunque soggetta ad una leggera onda di risacca che aggira il reef presente a sud.
Si può ancorare ovunque a Est o Nord Est (in base al vento) del grande molo commerciale, il più vicino possibile a terra in base al proprio pescaggio. E’ importante lasciare sgombro lo specchio acqueo delimitato da segnali gialli, lì è dove traghetti e navi fanno manovra per accostare al molo. Noi ancoriamo nella parte più a Sud Est possibile in 4 metri.
Coordinate: 22°39,551 S; 167°26,465 E.
Oltre al grande molto commerciale in cemento, c’è un pontile un pochino più piccolo in legno e mattoni che delimita una piccola darsena. Qui è dove attraccano le imbarcazioni che trasportano i turisti in giro per l’isola ed è possibile lasciare il gommone in sicurezza quando si scende a terra.
La baia è delimitata da una bella spiaggia di sabbia bianca ed è circondata da palme. Non è insolito intravedere le grosse code, i musi tozzi e le schiene scure dei dugonghi che nelle prime ore del mattino o la sera al tramonto vengono a “pascolare” sui fondali.
Kuto è separata da Baie de Kanumera da un sottile Istmo che collega la penisola di Kuto all’isola principale. L’istmo si può attraversare comodamente a piedi. Kanumera è anche il nome di un minuscolo isolotto situato in mezzo alla baietta, molto caratteristico.
Con venti da Ovest è possibile ancorare a Baie Kanumera (chiedendo il permesso in Gendarmeria), ma è presente la solita onda di risacca che in questo caso è un pochino più fastidiosa.
Nel piccolo villaggio di Kuto c’è molto poco: un negozio di alimentari dove si può trovare quasi tutti i prodotti basici, poca frutta e verdura, latte, biscotti, pane (la mattina presto anche le baguette fresche ). C’è un resort “yacht friendly” – Hotel Kou-Bugny – con il ristorante su una terrazza affacciata sulla spiaggia e i bungalow immersi nella foresta. L’hotel offre anche un servizio di noleggio auto di cui abbiamo usufruito. I prezzi sono allineati con quelli della Nuova Caledonia, quindi elevati. Ci sono numerose piccole “lodge” a gestione familiare dove è anche possibile pranzare.
Per trovare una banca con relativo bancomat e qualche servizio in più – inclusi l’ufficio postale, l’ufficio del turismo, le scuole – bisogna spostarsi a Vao, il paese principale dell’Isola e distante circa 6 Km da Kuto in direzione Est.
Vicino a Vao c’è la Baie di Saint-Maurice. Sulla costa i locali hanno eretto una statua raffigurante appunto San Maurizio circondata da una serie di totem ricavati da interi tronchi di albero e intagliati a mano.
Si tratta di un monumento insolito che ricorda l’arrivo sull’isola dei primi padri missionari, venuti ad evangelizzare gli abitanti. Esso commemora il primo servizio cattolico celebrato sull’isola nel 1848.
Ogni totem raffigura un viso diverso ed un oggetto o un animale rappresentativo. E’ un luogo con una certa magia, dove si mescolano la religione cattolica e la cultura locale Kanaka.
Ogni totem raffigura un viso diverso ed un oggetto o un animale rappresentativo. E’ un luogo con una certa magia, dove si mescolano la religione cattolica e la cultura locale Kanaka.
Degna di nota è la bellissima Baia di Upi. Una cala protettissima che si trova a Est dell’Isola e che si spinge all’interno fino a creare una specie di lago. Prima che i Kanak si ritrovassero 30 barche ancorate davanti alle loro case e i relativi equipaggi a gozzovigliare strepitando di fronte a barbecue allestiti sulle spiagge, era possibile dare fondo in qualsiasi momento e trovare un riparo sicurissimo.
Adesso l’accesso alla baia è regolamentato e non è possibile ancorare senza prima chiedere informazioni in Gendarmeria. Noi ci rechiamo sul luogo con l’auto e ci fermiamo sulla spiaggia. E’ davvero molto suggestivo.
Da Upi proseguiamo in auto in direzione Nord fino alla Baia di Oro che si trova a Nord Est dell’Isola. L’insenatura è una riserva naturale caratterizzata da tre isolotti piccoli a nord e da due grosse isolone nella parte sud. Il mare scorre fra queste ultime e crea due stretti corsi di acqua percorribili a piedi fino a ritrovarsi all’interno di una specie di piscina naturale profonda massimo 3 metri che sbocca sull’oceano tramite uno stretto passaggio fra rocce e reef.
La polla di acqua turchese è circondata dai caratteristici pini presenti su tutta l’isola e la temperatura del mare è molto bassa. Ci mettiamo tutta la nostra buona volontà, ma riusciamo ad immergerci solo fino alla pancia, poi dobbiamo desistere per evitare l’assideramento !
Per girare tutta l’isola senza stop ci vogliono circa due ore scarse. Noi ce la prendiamo con comodo e restituiamo l’auto nel pomeriggio.
Il 27 di Novembre arriva il momento di levare le ancore e lasciare i tropici. Sfruttiamo una finestra meteo molto tranquilla, forse anche troppo, ma da queste parti bisogna prendere quello che arriva senza fare troppo i sofisticati.
Lasciamo la Nuova Caledonia vagamente delusi, ci aspettavamo qualcosa di decisamente diverso. Non abbiamo fatto bagnetti, non abbiamo indossato i costumi da bagno, abbiamo sentito freddo, ci siamo presi sventolate che manco dal 2015, ci siamo svegliati con la nebbia, abbiamo dormito con i piumini, abbiamo dato fondo nella fanga più ostinata che manco un’idropulitrice la manda via, ci siamo fermati in baie dal mare verde e torbido e abbiamo costeggiato una terra arida, brulla e triste. Possiamo però raccontare di aver ancorato nel bel mezzo della Desolazione di Smaug e di aver bevuto una birra in compagnia del serpente di mare più velenoso del pianeta.
Ma si sa, dopo le Tuamotu, dopo quegli atolli lì, le nostre aspettative sono alte… MOOOLTO alte, forse non facciamo più testo .
Così ci prepariamo a navigare 870 miglia in direzione Sud, Sud Est con una previsione di venti leggeri da ESE sui 10kt. Ci sarà da smotorare. Questa volta non faremo bolina stretta, non passeremo 3 giorni a smadonnare ogni volta che Y2K sbatte sulle onde ripide, non stabiliremo date in cui spedire la barca via cargo a Tahiti e non faremo progetti schizofrenici di vendita.
La Nuova Zelanda e tutti i nostri vecchi amici ci aspettano.
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Grazie cari….bellissimi e istruttivi racconti.
Noi bloccati in Sardegna purtroppo ancora a lungo sembra…
Buone navigazioni