250 miglia a Ovest di Niue si trova il Regno di Tonga. E’ composto da una serie di isole e isolotti posti lungo un asse verticale – da Nord a Sud-Sud Ovest – e amministrativamente suddiviso in 4 gruppi distinti. Le Niuas con Niuatoputapu sono le isole più a nord, le Vava’u, le Ha’apai ed infine Tongatapu dove si trova la capitale del Regno: Nuku’alofa.
Per via della disposizione geografica dei 4 arcipelaghi, la meteo può essere parecchio differente fra le Niuas e Tongatapu, con, in alcuni casi, variazioni importanti sia nell’intensità del vento che nelle condizioni climatiche generali: più di una volta ci è capitato di trovarci con 25 nodi e pioggia torrenziale alle Vava’u, mentre alle Ha’apai splendeva il sole accompagnato da brezze leggere.
Tonga è una monarchia costituzionale, il re e la sua famiglia vivono naturalmente sull’isola più a sud, Tongatapu, nella capitale Nuku’alofa.
La nostra prima destinazione nel Regno dopo aver lasciato Niue è il gruppo delle Vava’u, in particolare volgiamo la prua sulla baia super riparata attorno alla quale sorge la cittadina principale dell’arcipelago: Neiafu.
Come già avete letto, il 12 Ottobre lasciamo Niue in fretta e furia a causa dell’arrivo di un brutto fronte. Il fronte ci insegue per tutte le 250 miglia che percorriamo alternando navigazione a vela con smotorate. La meteo, infatti, comincia a risentire dell’approssimarsi del brutto tempo, l’aliseo non è costante ed è piuttosto variabile anche dal punto di vista della direzione.
Siamo un convoglio di 3 barche amiche, noi, “Cinnabar” che ci precede di qualche miglio e “Ondular” che chiude le fila. Siamo tutti costantemente in contatto radio per scambiarci le rispettive posizioni e discutere insieme i bollettini meteo.
La navigazione è priva di eventi fino a 50 miglia da Neiafu. Veniamo raggiunti dall’area di instabilità del fronte e il vento si attesta sui 20 nodi. Galoppiamo velocissimi verso la nostra meta mentre il cielo comincia a coprirsi di nuvolaglia.
Alle prime luci dell’alba del 15 Ottobre avvistiamo terra. Si tratta del primo lembo di costa Nord della grande isola di Vava’u – che poi da’ il nome a tutto l’arcipelago. Dobbiamo percorrere le ultime 5 miglia, aggirare tutta la parte settentrionale dell’isola per poi virare a Sud, quindi a Est ed infilarci in mezzo ad un dedalo di isolotti e scogli fino all’estremità della specie di fiordo che costituisce la baia di Neiafu.
Nel frattempo il vento aumenta ancora e comincia a piovigginare. Alle 8:30 entriamo nella baia di Neiafu di nome Port of Refuge (e scopriremo presto il perché di tale nome). Il canale di ingresso è ben segnalato dai fanali verdi e rossi e non presenta pericoli. Dobbiamo fare subito le pratiche di ingresso altrimenti non possiamo ancorare, né scendere, sono piuttosto severi.
Come da procedura ci annunciamo sul canale VHF16 chiamando “Port Control”. Ci risponde una bella voce squillante che si presenta come “DJ-Q” (da leggersi ‘digeichiù’), scopriremo essere il factotum di Vava’u Radio, colui che aiuta in tutto, credeteci davvero in tutto, le barche in transito per Tonga. Se si vuole sapere qualcosa basta chiamare al VHF DJ-Q e la risposta la si trova, davvero un grande!
DJ-Q ci accoglie con il suo benvenuto e ci spiega la procedura per l’entrata a Tonga.
Dobbiamo quindi issare la bandiera gialla “Q”, accostare con la barca lungo il grande pontile commerciale di cemento situato subito a sinistra entrando e attendere a bordo gli ufficiali dell’immigrazione, dogana e quarantena. Gli amici americani di “Cinnabar” sono arrivati una decina di minuti prima di noi, non c’è spazio per ormeggiare davanti o dietro, quindi ci mettiamo a pacchetto, affiancati alla loro destra.
A prenderci le cime a bordo di “Cinnabar” ritroviamo i nostri cari amici Raffaella e Giovanni di “Obiwan” che hanno saltato sia Beveridge Reef che Niue e si trovano a Vava’u già da qualche giorno. Siamo davvero molto contenti di rivederli e non vediamo l’ora di condividere le ultime reciproche avventure.
Mentre aspettiamo gli ufficiali, aggiustiamo gli orologi di bordo. Abbiamo attraversato la linea della data: abbiamo perso un giorno, praticamente non lo abbiamo vissuto , non è il 14/10 ma bensì il 15/10, dal fuso orario UTC-12 ora siamo a UTC +13!
Max si reca in dogana a presentarsi, torna dopo pochi minuti con un bel malloppo di carte da compilare, diversi fogli ma con le stesse domande (anche qui dall’altra parte del mondo gli uffici statali non si parlano fra loro…).
Dopo una decina di minuti si presentano 6 ufficiali. Il gruppo si divide in due: il primo sale a bordo di “Cinnabar”, il secondo si occupa di noi. Sono tutti molto cordiali e amichevoli. Le procedure sono veloci ed indolori. Compiliamo tutto quello che c’è da compilare, consegniamo la nostra spazzatura, paghiamo il dovuto (circa 22 TOP = Tongan Panga. 1 TOP = 0,38 Eur). E così sfoggiamo un altro timbro sul passaporto! A noi come cittadini europei dell’area Schengen ci viene concesso il visto per 3 mesi con possibilità di ulteriore estensione. Per noi 90 giorni sono più che sufficienti. Subito dopo è il turno dell’ufficiale di quarantena che dopo poche domande si prende la nostra spazzatura e ci consegna anch’egli il suo foglio timbrato.
Una volta sbrigate le formalità, possiamo ammainare la bandiera gialla, issare quella del Regno di Tonga e siamo liberi di andare. Port of Refuge ha fondali profondissimi. La zona per dare fondo – in circa 8, 10 metri – è molto limitata e si trova davanti al piccolo marina che ospita le barche locali da pesca.
Con l’arrivo del brutto tempo la baia è bella gremita e non c’è spazio per ancorare. Tuttavia ci sono numerosi gavitelli gestiti sia dalla famosa società di charter The Moorings (boe di color ROSSO, la precedenza ce l’hanno le loro imbarcazioni, ovviamente) che qui ha una sua base, sia dal locale diving “Beluga Diving” (boe di color GIALLO). Tutti i gavitelli sono in ottime condizioni e perfettamente manutenuti. Alcuni, in particolare, sono addirittura definiti come “Cyclone mooring”, adatti a sopportare le sollecitazioni di un evento violento come un ciclone.
Ci muoviamo verso l’estremità est della baia, Raffaella ci fa segno che c’è un gavitello giallo libero poco distante da loro e noi lo agguantiamo, seguiti in breve tempo da “Cinnabar” che si lega ad una boa libera vicina. Il costo del gavitello è di 15 TOP al giorno, da pagare direttamente presso l’ufficio del diving situato sulla costa davanti al campo boe.
Una volta sistemati, ci rendiamo conto di essere completamente immobili nonostante in oceano ci siano raffiche vicine ai 30kt. Ci arrivano refoli da 15 nodi AL MASSIMO, Y2K è fermissima, la superficie del mare leggermente increspata. Dopo settimane di rollio non ci sembra vero! Port of Refuge, Porto Rifugio, mai nome è stato più azzeccato di questo, è una baia chiusa, circondata da terra a 360°. Totalmente ridossata da qualsiasi vento, protetta con ogni condizione meteorologica, si spiega anche il motivo per cui le barche qui vengono lasciate ai gavitelli anche durante la stagione degli uragani.
I ragazzi di “Obiwan” vengono subito a trovarci e trascorriamo un po’ di tempo insieme a loro. Poi collassiamo completamente, ancora increduli per la totale assenza di rollio.
Fuori intanto piove a dirotto. In oceano la meteo prevede onde di 5 metri e 40kt da Sud. Per una volta noi ce ne infischiamo bellamente. Apprendiamo, però, che il fronte che sta investendo Niue, Tonga e parte delle Fiji si porta dietro una “simpatica” compagnia: la SPCZ, ovvero la South Pacific Convergence Zone. Come la zona di convergenza intertropicale (ITCZ) staziona intorno all’equatore, così la SPCZ occupa solitamente un’area a nord della Nuova Caledonia e delle Fiji, ma in talune condizioni, può estendersi di parecchie miglia verso sud e sconfinare fino a lambire Minerva Reef.
Il dannatissimo fronte ha creato queste condizioni, trascinandosi al guinzaglio la SPCZ e facendola estendere su Tonga. Rimaniamo attaccati al gavitello di Neiafu sotto una pioggia torrenziale ininterrotta per ben 12 giorni (contati uno ad uno limortacciloro), vento fresco e tempo da lupi.
Ci consoliamo passando i pomeriggi e le sere al Mango Cafè, ristorante-bar situato davanti alle boe di The Moorings. I piatti sono buoni ed appetitosi, servono un buon gelato, birre fredde e il gestore è molto simpatico e soprattutto la WiFi è una bomba. Ci ritroviamo con i vecchi amici di “Cinnabar”, “Obiwan”, “Ondular”, “Freya”, “Gone with the Wind”. E ne incontriamo di nuovi di amici.
Fra una pizza e l’altra, fra un hamburger e l’altro, gelati, birre, fish & chips – mentre continua a piovere come Dio la manda – conosciamo Michelle e Joe di “Peregrin”, originari del Michigan. Sono in giro per il mondo da quasi 15 anni e ci raccontano molte delle loro avventure, in modo particolare, di come si siano innamorati dell’Italia (si sono fermati 2 anni nel nostro paese) e di come da allora apprezzino il buon cibo e – udite, udite – il vero Parmigiano Reggiano!
Ci fanno conoscere il ristorante “Refuge”, situato accanto al Beluga Diving e dotato di una notevole terrazza sopraelevata dalla quale si gode di un bel panorama della baia. Al “Refuge” mangiamo anche un’ottima pizza – per essere a Tonga – in particolare il Mercoledì è il pizza day. Ordini due pizze ed una è gratuita. Naturalmente ne approfittiamo.
La città di Neiafu è tutta addobbata a festa con decorazioni, bandiere e stendardi bianchi e rossi. I tongani passeggiano avvolti in drappi rossi e bianchi o nella loro bandiera. Le bambine e le ragazze portano i capelli intrecciati con nastri rossi e bianchi, insomma è tutto un drappeggio con i colori nazionali. Scopriamo che tutto questo è per la nazionale Tongana di rugby a 15 che giocherà contro l’Australia fra pochi giorni. E’ un incontro importante valido per il campionato ufficiale di rugby delle nazioni di questa zona del Sud Pacifico. Sono tutti in fermento e tutti letteralmente pazzi per questo sport.
La sera del match molti tongani, ma anche tanti velisti curiosi, si riuniscono davanti ai grandi schermi televisivi dei ristoranti Mango Cafè e Refuge per supportare la propria nazionale. I tongani vengono letteralmente “asfaltati” e rullati dagli Australiani con un punteggio assurdo, ma tutti continuano a ridere, a scambiare pacche sulle spalle con i velisti Australiani, a urlare di gioia per ogni (Inutile) punto portato a segno dalla squadra al grido di “Mate Ma’a Tonga!!!”. Grande esempio di sportività.
Il tempo continua ad essere orribile: controlliamo ogni mattina le previsioni meteo con la speranza di un miglioramento, ma le carte sinottiche e i grib mostrano sempre la solita storia. Nuvole, pioggia e zona di convergenza. Non ce n’è proprio.
E così continuiamo ad organizzare cene con gli amici e a passare il tempo leggendo a bordo.
Un giorno in cui la pioggia – ma non le nuvole – sembra volerci dare una tregua, decidiamo di noleggiare un’auto insieme a Raffaella e Giovanni per girare l’isola. Dopo aver chiesto un po’ in giro scopriamo che “l’autonoleggio” non è altro che un negozio di alimentari gestito da un cinese. L’auto che ci viene assegnata, probabilmente, anzi sicuramente l’unica, più che un’auto è ciò che ne rimane. Non ci sono più i rivestimenti interni, è meglio non pensare a cosa abbiano trasportato sui sedili il cui colore è indecifrabile, c’è un foro largo e arrugginito sul portellone posteriore – ci si vede la strada attraverso eh ? – e se superiamo i 50 Km/h comincia ad emettere suoni inquietanti, cigolii e uno stridio tipo 747 in frenata dopo l’atterraggio. ‘Na fuoriserie, insomma!
Ce ne infischiamo bellamente e cominciamo il nostro tour non smettendo mai di ridere a crepapelle per le prestazioni da Formula 1 del nostro super-catorcio. Siamo convinti che prima o poi ci abbandoni esanime in mezzo ad una mandria di mucche.
Il grigiume del cielo non fa risaltare i colori dell’isola che comunque è verdissima e ricoperta di piantagioni di Kava – la più pregiata e apprezzata sul mercato del Pacifico – e di melanzane. Ci fermiamo per visitare una grotta situata sulla costa esposta di Neiafu e ci rendiamo conto che tira un ventaccio mica da ridere.
Visitiamo un edificio in cui in gruppo di donne intreccia la corteccia dell’albero del gelso della carta per creare le caratteristiche Tapa che qui a Tonga sono tutt’ora utilizzate come abbigliamento. Nelle occasioni di lavoro importanti, di festa o durante la celebrazioni di eventi particolari, uomini e donne indossano le tapa finemente elaborate sopra lunghi gonnelloni di stoffa colorata. A Tonga anche gli uomini portano le gonne
Alla fine del giro il super-catorcio è ancora in vita (più o meno) e noi abbiamo i crampi alle mascelle per il troppo ridere.
Giusto per dare quel tocco in più al nostro soggiorno bagnato, le batterie dei servizi decidono di suicidarsi dopo quasi 4 anni di servizio. Avevamo già in programma di sostituirle in Nuova Zelanda, ma a questo punto nella terra dei Kiwi non ci arriverebbero più e ci lascerebbero nei guai.
Partiamo alla ricerca di batterie che non costino un boato e che possano fare il loro dovere per ancora un paio di mesi, prima di essere definitivamente rimpiazzate con quelle che abbiamo già ordinato ad Auckland e che ci aspettano a Whangarei. Troviamo un paio di enormi batterie da camion nuove presso un autoricambi, di quelle classiche con i tappini, 60kg l’una. Il prezzo è accettabile e le acquistiamo subito: sono le ultime in tutta Neiafu! Il gestore del negozio ce le trasporta fino ai pontili del piccolo marina, ma noi ce le dobbiamo portare a bordo con il dinghy, quindi sbarcare quelle vecchie e portarle all’autoricambi. Lo facciamo fra una smadonnata e l’altra grazie all’aiuto di Giovanni: meno male che almeno non fa troppo caldo.
Installate le batterie siamo un pochino più tranquilli: non hanno certo le prestazioni che vorremmo, ma come soluzione temporanea vanno più che bene. Intanto cominciano a vedersi sprazzi di azzurro nel cielo, evento che suscita l’agitazione del popolo dei velisti dopo due settimane di buio assoluto.
Finalmente la dannata SPCZ si sta dissolvendo e sta rientrando nei ranghi. Le previsioni danno una meteo in netto miglioramento e molti dei nostri amici decidono di lasciare il Regno di Tonga per dirigersi verso la Nuova Zelanda senza aver effettivamente visto nulla di Tonga. Per noi è ancora troppo presto e ne approfittiamo subito per lanciarci alla scoperta degli innumerevoli ancoraggi da sogno di questo arcipelago.
Il primo degli ancoraggi che visitiamo è Port Maurelle, un’insenatura profonda che si trova a 6 miglia Sud-Sud Ovest rispetto a Port Refuge. E’ una baia molto bella, circondata da alberi, con una spiaggia graziosa e fondali sabbiosi non troppo profondi. L’amministrazione locale ha installato 5 gavitelli, i costi sono irrisori: 20 TOP (7,6 Euro) per le prime 3 notti, poi 10 TOP (3,8 Euro) per le successive 3 notti. Ne prendiamo uno sulla destra della baia, poco distante dai nostri amici Monique e Jack del catamarano “Aloha”. Monique è Tedesca, ma ha vissuto in Perù con la sua famiglia per molto tempo, parla correntemente 4 lingue ed è una forza della natura. Jack è originario del Texas, di un paese al confine con la Lousiana, trasferito poi per lavoro alle Hawaii. L’ultima volta che ci siamo visti eravamo alle Marchesi!
E’ bellissimo rivedere i nostri amici dopo così tanto tempo, scattano subito i festeggiamenti e gli inviti ad aperitivi/cene/brunch.
Il cielo non è ancora super limpido, residui passaggi nuvolosi e pochi piovaschi non permettono alla luce del sole di illuminare a dovere i fondali marini della baia, rimandiamo lo snorkeling, ma ce ne andiamo a visitare una delle più famose grotte delle Vava’u che si trova poco distante dal nostro ancoraggio.
Si tratta di Swallows Cave, una grotta molto ampia con un ingresso bello largo per consentire di entrare tranquillamente con il dinghy. La volta all’entrata presenta una grossa apertura circolare, un “buco”, da cui si intravede la vegetazione circostante. All’interno, invece, la volta scompare alla vista e colpiscono le pareti composte da stratificazioni di differenti colori.
Il fondale marino dentro la grotta è sabbioso e abitato da moltissimi pesci. La luce che filtra dall’entrata crea un effetto blu fosforescente e colpisce i dorsi dei pesci creando tutto un turbinio di guizzi argentati.
E’ molto, molto bella, ci ripromettiamo di tornare quando la meteo si sarà rimessa del tutto e il sole splenderà completamente.
Prima di tornare a bordo facciamo un giretto esplorativo della baia a bordo del tender. Qui a Tonga per la prima volta possiamo ammirare le particolarissime conformazioni delle rocce e isolotti – grandi o piccoli – che dalle profondità del mare affiorano in superficie. Hanno tutti una forma tipo “fungo” che si ritrovano anche alle Fiji. Sono davvero forme curiose.
Il giorno dopo il sole splende e noi ci armiamo di pinne, maschere e boccagli per ammirare, per la prima volta da quando siamo arrivati, la vita sottomarina e i fondali di questo arcipelago.
La cosa che ci colpisce immediatamente non appena mettiamo la testa sott’acqua sono due specie distinte di stelle marine mai viste prima. La prima è di un blu cobalto quasi fosforescente con le braccia piuttosto affusolate. La seconda è rosa pallido, cicciottosa, praticamente assomiglia più ad una caramellina gommosa o ad un gioco puffoso per bambini che ad una vera e propria creatura vivente.
Poi ci sono intere praterie di anemoni, ciascuna anemone abbarbicata alla propria zona di corallo. Alcune teste di corallo ne sono quasi interamente ricoperte. Insieme alle anemoni ci sono i loro ospiti abituali, i pesci clown. Qui ne vediamo davvero moltissimi. Timidi, ma curiosi, lasciano i tentacoli delle loro “case” quando nuotiamo lontano da loro, per poi schizzare come fulmini nell’abbraccio della propria anemone non appena torniamo indietro e ci avviciniamo.
Ci sono molti ricci matita, dagli aculei spessi e rossicci, gli schivi pesci Platax (o pesci pipistrello) che si riuniscono in gruppi nelle zone in penombra o nelle cavità più scure delle rocce. Un pesce scorpione, spugne (o coralli) dalle forme sinuose e dal colore lavanda chiaro.
Ed infine vediamo tantissime conchiglie, soprattutto coni, anche il famigerato Conus Textile che con il suo potente veleno iniettato da un pungiglione può provocare la morte di un uomo. Ma la regina delle regine è lei: la cypraea Tigris, la ciprea più bella del mondo (secondo Ale che ne è grande estimatrice) e fra quelle più ricercate dai collezionisti.
Bellissima e lucidissima la sua conchiglia perfettamente liscia e dalla tipica livrea maculata ci lascia ipnotizzati e facciamo davvero fatica a non raccoglierla e lasciarla tranquilla a viversi la sua vita.
Dopo un paio di giorni trascorsi a goderci Port Maurelle, cambiamo ancoraggio e ce ne andiamo in una baia super protetta a circa 4,5 miglia a Ovest. Si tratta di un ancoraggio posto a Sud di Nuapapu Island, fra Vaka’eitu Island, Lape Island e il piccolo isolotto di Kulo (sì esatto, siamo andati a dare fondo a Kulo, avanti con le battute eh? ).
Non ancoriamo esattamente all’interno della baia, ma leggermente più a Nord, un pochino più vicino ad una barriera corallina situata a Nord di Vaka’eitu Island.
Le coordinate sono: 18°43,111 S; 174°06,070 W.
Ci ritroviamo in un posto fuori dal mondo! Siamo l’unica barca nel raggio di qualche miglio, circondati da isolotti a “fungo”, vegetazione lussureggiante e da un mare blu e liscio come l’olio. Il tempo è bellissimo e l’aliseo è molto debole e variabile. La luce è perfetta. Il CPT rompe ogni indugio e ordina il “Drone Time”.
Vista dall’alto, la baia è davvero splendida, Y2K fluttua in mezzo ad una polla turchese e non c’è niente di niente a parte un’aquila di mare che nuota placida a poca distanza dalla barca.
Nuotiamo fino al vicino reef pieno di vita e di coralli colorati. Non riusciamo a godercelo più di tanto per via della forte corrente che ci spinge malamente contro le rocce. Dobbiamo tenerci ad una certa distanza per evitare di essere sballottati e finire per farci del male. Meglio ritornare durante il periodo di stanca di marea l’indomani mattina.
Poco prima del tramonto arriva un ragazzo tongano a bordo di una canoa. Parla un inglese talmente incomprensibile da non capire nemmeno come si chiama. Alla fine intuiamo cosa cerca. La batteria del suo cellulare è defunta e ci sta gentilmente chiedendo se possiamo ricaricargliela. Un episodio che riporta alla nostra mente quella meravigliosa esperienza vissuta a Toau (Tuamotu) in compagnia di Voilice. Anche in quel caso tutto ebbe inizio da un cellulare scarico.
Il ragazzo ci lascia il suo telefono per qualche ora. Quando torna, ancora prima che riusciamo a fare il gesto di andare a recuperare il suo smartphone, fra mille sorrisi ci deposita a bordo due sacchi stracolmi di mango – è iniziata la stagione da queste parti. Una quantità di frutti incredibile! Ci lascia pagaiando verso il suo villaggio con il suo cellulare carico al 100% mentre noi ci godiamo una magnifica serata e una notte altrettanto serena piena di stelle.
Riceviamo un messaggio da parte di “Aloha”. Si trovano in un delizioso posticino fra i due isolotti di Avalau e di Mounu, a Sud rispetto a dove ci troviamo noi e a pochissime miglia di distanza (circa 2,5). I ragazzi desiderano festeggiare insieme il giorno del Ringraziamento e ci invitano per cena a bordo del loro catamarano la sera seguente. In realtà il Thanksgiving sarebbe fra due giorni, ma dato che per quella data Monique e Jack vorrebbero spostarsi molto più lontano, pensano di anticipare i festeggiamenti, un pre-thanksgiving insomma.
Accettiamo di buon grado e la mattina successiva ci spostiamo per raggiungerli.
Arriviamo a destinazione, “Aloha” è ancorata sopra un bassofondo di sabbia per noi impraticabile con una profondità media di 1,5 metri. Il bassofondo poi sprofonda in maniera repentina fino a 20-25 metri. Fortunatamente c’è un gavitello solitario proprio davanti alla spiaggetta dell’isola di Mounu, sembra in ottimo stato ed è dotato di una cimazza bella grossa. Lo agguantiamo.
Le coordinate sono: 18°44,989 S; 174°04,290 W.
Il posto è davvero bellissimo. Jack ci raggiunge sottobordo con la sua canoa e ci spiega come Mounu Island sia la sede di un resort piuttosto esclusivo. Di solito i velisti sono i benvenuti a terra, ma siamo ormai alla fine della stagione e per loro è tempo di ristrutturazioni. Stanno lavorando e non vogliono nessuno che li rallenti. Peccato perché l’isolotto è molto grazioso.
Diamo a Jack uno dei due sacchetti stracolmi di mango. Non riusciremmo a mangiarli tutti e sarebbe un peccato farli andare a male.
Non potendo atterrare sulla spiaggia dell’isolotto, ci consoliamo facendo lunghe nuotate nella piscina naturale costituita dal bassofondo di sabbia e facendo volare i rispettivi droni per riprendere dall’alto questa meravigliosa area.
Nel tardo pomeriggio siamo a bordo di “Aloha” per un buon aperitivo prima della cena che i ragazzi preparano “quasi” secondo tradizione. L’unico tacchino disponibile in tutte le Vava’u (e probabilmente in tutto il Regno di Tonga ) esiste solamente precotto e surgelato e i Cranberry – i mirtilli rossi americani con la cui salsina si accompagna solitamente il tacchino – non si trovano neppure in fotografia.
Per la nostra cena pre-Thanksgiving quindi, Monique ci cucina il tacchino precotto ripassandolo su una padella con un condimento a base di salsa BBQ, patate dolci al forno e verdurine grigliate. Onestamente, una vera delizia.
Trascorriamo una piacevole serata raccontandoci le nostre rispettive avventure e i nostri piani futuri. Monique e Jack desiderano navigare verso le Fiji, trascorrere lì tutto il periodo dei cicloni e rimanere nell’arcipelago per tutta la successiva stagione. Probabilmente, ci dicono, si fermeranno per un paio di anni. Li rincontreremo alle Fiji allora!
Intanto il sole inizia la sua discesa verso l’orizzonte e il cielo si accende di mille colori. Un tramonto così infuocato non è comune, davvero splendido.
La notte dormiamo come ghiri, barca immobile e vento quasi inesistente. Per la giornata successiva le previsioni confermano un giro di vento provocato da un debole fronte che transita a nord delle Vava’u. Non si attende pioggia per almeno un paio di giorni, ma la brezza, comunque sempre debole, si mette da NW e quindi da W.
Mentre “Aloha” si sposta in un ancoraggio molto più a Sud, in mezzo a isolotti e protetto a 360° dai reef (impraticabile per noi a causa dei bassi fondali), noi consultiamo le carte e il portolano di Vava’u e identifichiamo un nuovo posticino ben protetto dai venti del settore Ovest.
E’ la baia di Taunga a Est della nostra attuale posizione e distante circa 4,7 miglia. Si può dare fondo in circa 6-8 metri, sabbia senza alcuna testa di corallo, proprio a ridosso dell’isola di Taunga. Questa è collegata ad un piccolo isolotto di nome Ngau da una sottile lingua di sabbia dorata che affiora interamente con la bassa marea. A chiudere la baia ad E-NE, c’è l’isolotto Tauta.
Sull’isola di Taunga, inoltre, pare ci sia la più bella spiaggia di tutta Vava’u. Lasciamo il nostro gavitello e ci dirigiamo verso il nuovo ancoraggio.
Quando arriviamo sul posto, troviamo già un catamarano (COME OSA ??!! ) che però è così gentile da issare l’ancora praticamente qualche minuto dopo che noi filiamo la nostra e da lasciarci tutti soli in un altro ancoraggio pazzesco.
Le coordinate sono: 18°44,986 S; 174°00,397 W.
La spiaggia di Taunga è effettivamente stupenda, la baia è molto ben riparata dal vento che già ha ruotato a Ovest e visto che c’è bassa marea, ce ne andiamo a passeggio lungo la lingua di sabbia che collega Taunga con Ngau.
Trascorriamo due notti a Taunga prima che il debole fronte raggiunga Vava’u portando pioggia e la solita rotazione del vento a Sud. L’ancoraggio è totalmente aperto ai venti meridionali, considerato che desideriamo visitare l’arcipelago delle Ha’apai non appena il fronte ci lascia, ce ne torniamo a Neiafu dove dobbiamo effettuare quella che qui viene definita “domestic custom”.
Quando ci si sposta da un arcipelago all’altro del Regno di Tonga, è necessario fare una specie di uscita per poi effettuare l’entrata presso gli uffici della custom una volta a destinazione. Nel nostro caso, ad esempio, dobbiamo recarci presso la dogana di Neiafu, richiedere l’uscita “domestica” per le Ha’apai ed una volta raggiunta Pangai – villaggio capitale delle Ha’apai – recarci alla dogana per richiedere l’ingresso “domestico”.
La procedura è davvero banale, si pagano pochi TOP per i diritti portuali di Neiafu (roba da 1 Euro) e con la ricevuta poi ci si reca all’ufficio doganale di Pangai per effettuare il check-in (gratuito). Il tutto si fa in meno di 10 minuti.
Andiamo a prenderci il solito gavitello del Beluga Diving e salutiamo i nostri amici Raffaella e Giovanni di “Obiwan” in partenza per le Fiji. Non li rivedremo per qualche tempo e siamo un po’ dispiaciuti.
La sera ce ne andiamo al Mango Cafè insieme a Monique e Jack, anche loro rientrati a Neiafu. Sono anch’essi pronti per volgere la prua verso le Fiji e ci salutiamo gustandoci dell’ottimo Mahi-mahi alla griglia.
Il fronte arriva, piove per un giorno, il vento si fa un bel girotondo a 360° e noi ne approfittiamo per fare cambusa in vista del soggiorno alle Ha’apai, dove c’è davvero molto poco.
Il giorno prima di partire ci svegliamo nella calma assoluta di vento e circondati da migliaia e migliaia di meduse materializzatesi nella baia dal nulla.
Sono un numero impressionante e anche piuttosto grandi. Le studiamo, cerchiamo su internet. Scopriamo che non si stratta di una specie molto urticante, ma il bagno lo rimandiamo volentieri ad altro momento
Ce ne andiamo a terra per sbrigare le pratiche di “domestic custom”, inevitabilmente trituriamo un tot di meduse con il fuoribordo del dinghy durante il tragitto verso il molo commerciale. E’ impossibile evitarle, sono dappertutto, a qualsiasi profondità, non abbiamo mai visto niente del genere.
Ci fermiamo al mercato per comprare frutta e verdura fresche, passiamo velocemente al supermercato per completare la cambusa e ce ne ritorniamo a bordo triturando un altro tot di sventurate meduse.
La sera le meduse scompaiono. Cioè totalmente dissolte nel nulla, così come sono comparse. Incredibile.
La meteo dà ancora instabilità per le prossime 24 ore, decidiamo di rimandare la partenza di un giorno e ce ne ritorniamo a Port Maurelle dove troviamo Michelle e Joe di “Peregrin”. Vista la calma di vento e di mare, insieme ad una famiglia canadese di una barca amica – “Fandango” – stanno organizzando una puntata a Mariner’s Cave con la loro barca. Mariner’s Cave, una grotta con apertura sottomarina, si trova sul lato Ovest dell’isola di Nuapapu, subito dopo uno stretto passaggio presente fra la stessa Nuapapu e l’isolotto di Kitu.
Ci aggreghiamo e ci spostiamo tutti su “Peregrin”. Navighiamo per circa 2,4 miglia, direzione Ovest. Attraversiamo il passaggio che si rivela poi essere molto profondo e senza pericoli e raggiungiamo la nostra destinazione.
Non è possibile dare fondo vicino all’entrata della grotta, in realtà non è possibile dare fondo da nessuna parte a causa di profondità sui 30-40 metri. Così i più intraprendenti si buttano in acqua e nuotano fino alla grotta, mentre Michelle rimane al timone di “Peregrin” navigando avanti e indietro. Max fa parte degli intraprendenti, Ale dei “rimanenti”
Gli intraprendenti si immergono e riemergono all’interno della grotta scattando numerose, bellissime fotografie.
Rientriamo a Port Maurelle in tempo per una lunga sessione di snorkeling, quindi prepariamo Y2K per la navigazione verso le Ha’apai. Dobbiamo percorrere circa 65 miglia in direzione Sud-Sud Ovest, contiamo di partire al mattino presto del 25 Novembre e arrivare nel tardo pomeriggio. Purtroppo non avremo molto vento perché in questo periodo dell’anno il bel tempo porta aliseo debole e oltre tutto, il fronte ha lasciato spazio ad un’alta pressione stabile su tutto l’arcipelago. Ci attendono 10 giorni di calma, condizioni ideali per visitare le Ha’apai che non offrono alcun ridosso in caso di venti forti da W, NW, SW.