100 miglia a Ovest di Maupiti c’è un atollino piccino picciò, talmente piccino che per inquadrarlo bene bisogna smanettare parecchio con lo zoom su qualsiasi strumento o applicazione cartografica. Il fatto che questo piccolo atollo abbia una pass navigabile rappresenta un miracolo già di per se in quanto molti atolli di pari dimensioni ne risultano sprovvisti.
Stiamo parlando di Maupihaa – altrimenti conosciuto con il nome di Mopelia – l’ultima, ultimissima frontiera della Polinesia Francese.
Maupihaa è un atollo isolato, fuori dai circuiti turistici, ci vivono solamente una quindicina di persone e gli unici “stranieri” che i locali incontrano sono gli equipaggi di quelle pochissime barche a vela che scelgono di passare qualche giorno in questo lembo di terra fuori dal mondo.
Non ci sono strutture, né aeroporti, cliniche, scuole. L’unico modo per gli abitanti in caso di emergenza è quello di chiamare i soccorsi in elicottero e poi volare per 2 ore fino a Tahiti. I rifornimenti e gli spostamenti da e per Maupihaa sono un’altra sfida. Tutto arriva a Maupiti, poi da Maupiti si aspetta che una specie di ferry un po’ “rustico” trasporti le merci e talvolta anche le persone ogni “tot” mesi (6 mesi ?). Ecco perché è pratica comune degli abitanti di Maupihaa aspettare a Maupiti e chiedere un “passaggio” alle poche barche che fanno tappa nel loro minuscolo atollo. Ed è quello che succede ai nostri amici di “Obiwan” e di “Cap a cap” a Vaiea avvicinati da alcuni locali in attesa da mesi per rivedere i loro cari e trasportare merci e materiali. “Obiwan” si prende carico di alcuni scatoloni, mentre a bordo di “Cap a cap” salgono due ragazze.
La pass di Maupihaa – Taihaaru Vahine – è minuscola, un vero budello ed è larga solamente una decina di metri. Se Maupiti ha la pass più pericolosa in cui abbiamo mai navigato, Maupihaa ha quella più stretta! Si trova a Nord Ovest dell’atollo ed è quindi ben ridossata dai venti e dal mare predominanti.
Non ci sono i fanali verdi e rossi, solamente dei segnali bianchi e neri a destra e a sinistra abbastanza visibili. Molti ci raccontano con lo sguardo impaurito di come, a causa della sua pass, abbiano preso la decisione di passare oltre e non visitare l’atollo. Ed è un grave errore perché, contrariamente a quanto si possa pensare, il canale seppur stretto non rappresenta affatto un problema, non è pericoloso, è profondo mediamente 13 metri, la corrente è più o meno simile a quella delle Tuamotu.
Ovviamente è fondamentale non affrontare la pass con il buio e aspettare la luce giusta. Piuttosto il pericolo arriva dopo, una volta superata la pass, qui davvero bisogna prestare molta attenzione a causa di bassi fondali corallini scarsamente segnalati.
Ma toniamo indietro un pochino, la traversata da Maupiti a Maupihaa si prospetta molto tranquilla per tutte le 100 miglia e per tutta la notte, navighiamo in comitiva con “Obiwan”, “Cap’a’Cap”, “Gone with the Wind”, “Mi Vida”, “Amaryllis III”, “Rebell” e qualcun altro ancora.
Anche “L’Attitude Adjustment” lascia Maupiti poco dopo il nostro gruppo, ma a una decina di miglia dall’isola, si ritrovano 200 litri di acqua in sentina a causa di un non ben precisato guasto al circuito dell’acqua dolce. Siamo tutti costantemente in contatto via VHF e i ragazzi, Sarah e Adam, ci comunicano la loro intenzione di rientrare a Maupiti per scoprire l’arcano e fare acqua al villaggio, visto che hanno il dissalatore rotto e che tutta la loro acqua dolce è andata a remengo.
Nel giro di 15 minuti, però, ricontattano il gruppo e ci raccontano di aver scoperto e risolto il problema – un banale tubo rotto e relativa autoclave rimasta attiva che quindi ha pompato tutta l’acqua in sentina – adesso devono solo riempire i serbatoi di acqua a Maupiti. Ci arriverebbero col buio e dovrebbero quindi affrontare quella temibile pass senza luce!
Parte subito la solidarietà fra il nostro gruppo di velisti, ci offriamo di riempire noi, con i nostri dissalatori, i loro serbatoi facendoli desistere dal tornare indietro.
Così eccoci di nuovo tutti in comitiva. Andiamo a vela cercando di rallentare quanto possibile Y2K perché dobbiamo arrivare davanti alla pass al mattino presto con la luce giusta e prima che il sole sorga completamente per evitare di avercelo in faccia.
La navigazione è priva di eventi, durante la notte il vento cala e tutti noi siamo costretti ad accendere il motore e a procedere a non più di 3 nodi per non arrivare troppo presto.
Verso le 9 del mattino del 14 Settembre eccoci davanti alla pass di Maupihaa. I primi ad entrare sono “Obiwan” e “Cap a cap”, partiti un pochino prima di noi lo scorso pomeriggio. Una volta dentro, Raffaella ci chiama al VHF e ci comunica le condizioni della pass e la rotta da tenere una volta superato l’ingresso.
Come dicevamo poco prima nel post, la parte più insidiosa di Taihaaru Vahine è rappresentata dai pochi metri subito dopo la pass. Qui i locali hanno installato un segnale composto da un gruppo di boe perlifere, di cui una grande e rossa, da lasciare a DESTRA entrando nonostante il colore.
Entriamo seguendo le indicazioni fornite da Raffa e con Ale a prua con un occhio sempre vigile. Una volta lasciato a destra il basso fondale, bisogna prestare attenzione anche a sinistra e mantenersi sempre su un fondale di 5-6 metri – occhio ai colori – che poi degrada sui 10 metri. Maupihaa non è ben cartografata, ma usando OpenCPN con le foto satellitari che ci siamo scaricati, sopperiamo in maniera egregia alla carenza di informazioni.
Proseguiamo con cautela verso il primo ancoraggio che si trova a Nord dell’atollo. Si tratta di un’ampia baia con fondo sabbioso con pochissime teste di corallo pericolose. Una striscia di sabbia delimita la rada, il mare è turchese e si ha la sensazione di essere approdati nel perduto paradiso terrestre.
Un lunghissimo motu protegge dal mare e dal vento da Nord a Est. Qui vive la maggioranza dei pochi abitanti di Maupihaa, in un minuscolo villaggio di capanne pulito e ben tenuto.
Diamo fondo in 6 metri di acqua, abbagliati dalla bellezza che ci circonda. Le coordinate del nostro ancoraggio sono:
16°64,770 S; 153°56,883 W.
16°64,770 S; 153°56,883 W.
“Cap’a’Cap” con la sua chiglia mobile ormeggia a pochi metri dal motu alla nostra sinistra, “Gone with the Wind” e “Obiwan” alla nostra poppa, “Mi vida” lontano alla nostra destra, infine “L’Attitude Adjustment” da fondo vicino, a sinistra di Y2K in attesa di poter fare il pieno, ci accordiamo per il pomeriggio successivo.
Mentre sistemiamo la barca dopo la navigazione e ci rilassiamo un po’, le barche locali si staccano dalla riva e ci raggiungono per darci il benvenuto. I passeggeri di “Cap’a’Cap” vengono trasbordati, le merci e i materiali consegnati ai legittimi proprietari in attesa da mesi e in ansia. Poi i sorrisi, braccia che si agitano in segno di saluto, presentazioni e inviti a condividere la vita della piccola comunità. “Venite a pescare con noi sulla pass” – ci dicono – “Vi portiamo a visitare la barriera corallina esterna” – “Domani all’alba peschiamo le aragoste e i granchi del cocco, venite a cena da noi”.
E mentre approfondiamo la conoscenza di questi meravigliosi polinesiani, un buon numero di squali di reef pinna nera, piuttosto grandicelli, gironzola attorno a Y2K e 1K (il nostro dinghy). Ne contiamo più di 5, probabilmente attratti da tutto il movimento, dalle ancore che agguantano il fondale e dallo sferragliare delle catene sul fondo sabbioso. Ci rendiamo conto che la laguna di questo atollo remoto ospita davvero tanti squali, sono dappertutto. Sappiamo benissimo che sono innocui, ma è comunque inquietante tuffarsi dalla barca, in 5 metri di acqua, e trovarseli lì ad osservarti con i loro occhietti misteriosi.
L’indomani ci aspetta una giornata piena. Le condizioni meteo sono ottime e ne dobbiamo approfittare in vista dell’ennesima sventolata da SE prevista nei giorni seguenti (ma che due maroni!). Al mattino presto saltiamo a bordo del tender e ce ne andiamo a fare snorkeling sul reef esterno e sulla pass con la corrente a favore (cioè, che porta verso l’interno della laguna).
Il mare è di una rara trasparenza – ci ricorda la pass Tiputa di Rangiroa – il reef esterno a Nord di Maupihaa è vivo, colorato e pieno di vita. Nuotiamo trascinandoci dietro il dinghy, costeggiando la barriera da una parte, dall’altra l’Oceano Pacifico che sprofonda a 1500 metri nel blu più assoluto. I pesci qui non hanno troppa paura, un paio di grossi carangidi ci seguono per tutta la durata della nostra visita, piazzandosi a volte davanti all’obiettivo della videocamera come a reclamare attenzione per un book fotografico .
Proprio all’esterno della pass, sul reef esterno, giace ciò che resta di una nave di nome Seeadler. Per l’esattezza si tratta di un veliero da carico costruito nel 1878 in Scozia, passato di proprietà in proprietà fino a che fu catturato dai tedeschi. Venne coinvolto nelle vicende della guerra in maniera molto rocambolesca, quasi al limite dell’assurdo, e il suo naufragio, causato da onde di marea eccezionali provocate da un terremoto, è anch’esso assai rocambolesco. Vale la pena di leggere l’incredibile storia di questo veliero QUI.
Quando la marea comincia ad invertirsi, è il momento di ritornare a bordo del tender e di rientrare nella laguna.
Costeggiamo tutti i bassi fondali a nord fino al motu Aveu. Qui lasciamo il gommoncino all’ancora e partiamo all’esplorazione dei coralli e delle polle di acqua trasparente che ospitano nugoli di pescetti colorati, murene, ricci di mare dagli aculei lunghi e dai riflessi blu.
Nel primo pomeriggio parte l’operazione Serbatoio. Fuori i parabordi e le cime, “L’Attitude Adjustment” salpa l’ancora, manovra e si accosta a Y2K senza alcun problema. In breve predisponiamo tutto il circuito e attiviamo Dissy che comincia a pompare acqua nei serbatoi dei nostri amici Neozelandesi. Nel frattempo chiacchieriamo e approfondiamo la loro conoscenza. Dopo aver acquistato la barca in Inghilterra, sono partiti lasciandosi alle spalle l’Atlantico, quindi hanno attraversato il canale di Panama, il Pacifico e adesso sono in navigazione verso casa. Scopriamo che Adam è un velista di una certa esperienza: è stato parte dell’equipaggio di Luna Rossa come wing trimmer durante l’ultima America’s Cup, quella in cui poi il team italiano decise di abbandonare la competizione. E ha portato a termine due Volvo Ocean Race (!!!???).
In poco meno di due ore i serbatoi di “L’Attitude Adjustment” sono pieni e i ragazzi muovo per ridare ancora alla nostra sinistra.
La sera invece, siamo invitati tutti a casa di Marcelo per una cena a base di aragoste e pesci pappagallo cotti al barbecue. Siamo noi, “Obiwan”, “Gone with the Wind”, “Rebell”, una coppia americana a bordo di un catamarano di nome “Mitzu”.
Oltre a Marcelo conosciamo tutta la sua famiglia: Hio, Karina, Faimano e Adrian, persone splendide.
La famiglia di Marcelo ci fa trovare una bella tavola imbandita ricca di ogni ben di Dio. Cocchi appena colti e pronti per essere bevuti, il pesce crudo alla polinesiana (marinato nel lime e latte di cocco), i granchi del cocco già cotti e pronti per essere gustati e il frutto dell’albero del pane che in Polinesiano si chiama URU.
L’uru viene prima bollito per renderlo morbido, poi, in questo caso, posto sulla brace del barbecue.
Come al solito rimaniamo profondamente colpiti dal fatto che l’unica cosa che ci viene chiesta in cambio (del tutto facoltativa fra l’altro) è condividere un po’ del nostro cibo: riso, verdure, legumi.
Le aragoste sono cotte sulla brace e ammorbidite con spennellate di una salsina a base di soia e miele. Sono le aragoste più buone che abbiamo mai mangiato in vita nostra. Anche i pesci pappagallo sono cotti al barbecue e sono buonissimi. Contrariamente a quanto immaginavamo, il pesce pappagallo a quanto pare è uno dei pochissimi pesci di barriera a non avere problemi di tossicità – o ad averne quasi zero – dovuti alla ciguatera. Il pappagallo, infatti, non si nutre di quel tipo di corallo che contiene la neurotossina. Non è una regola generale, tant’è che noi evitiamo di mangiare gli esemplari più grossi o di mangiarne più di una volta ogni due settimane, ma in tutta la fascia tropicale esposta a ciguatera, il pappagallo viene consumato normalmente.
La serata è piacevole, conosciamo tutta la splendida famiglia di Marcelo, tutti vogliono sapere le nostre origini, dove è casa nostra, la nostra rotta. Ci sentiamo in pace con il mondo, concludiamo con torte e dolci preparati da “Gone with the Wind” e “Mitzu”.
La mattina seguente facciamo il punto della situazione dopo aver consultato l’ultimo bollettino meteo. E’ in arrivo un’estesa area di alta pressione che porterà un bel ventone da ESE che poi vira decisamente a SE e quindi a S. C’è poi una bassa in avvicinamento da sud che crea ulteriore scompiglio e saremo in regime di maramu. Ci aspetta un aliseo bello forte sui 25-30kt, mare agitato con onde sui 4 metri e poi pioggia e temporali e freschetto. Splendido…
Per ridossarci dalle forti brezze meridionali, dobbiamo cambiare ancoraggio e percorrere circa 3 miglia per raggiungere la parte più a Sud Est di Maupihaa. Ci spostiamo insieme a “Rebell”, navigando con molta cautela fino a destinazione.
Diamo fondo in circa 10 metri di acqua dopo aver gironzolato un po’ qua e là per trovare un’area sabbiosa in modo da avere almeno i primi 10-15 metri di catena distesi sulla sabbia. In questa zona dell’atollo le teste di corallo sono più numerose e visto che aspettiamo ventazzo non vogliamo avere casini con la linea di ancoraggio incastrata fra i coralli e amenità simili.
La nostra nuova posizione è:
16°49,581 S; 153°55,626 W
16°49,581 S; 153°55,626 W
Ci troviamo davanti al motu di sud che forma una specie di virgola verso SW. Più avanti si apre una lagunetta circondata da spiagge bianchissime e delimitata dal piccolo motu Petero. Prima che le condizioni meteo si deteriorino troppo, ce ne andiamo in dinghy ad esplorare la zona, rompendo le scatole ad un gruppo di volatili che si innalzano in volo urlandoci dietro tutto il loro disappunto.
Ne approfittiamo per fare una passeggiata sul reef esterno qui dal lato sud di Maupihaa rimanendo come al solito ipnotizzati dal perpetuo infrangersi delle onde sulla barriera.
Le previsioni ahimè non sbagliano e già dalla sera sentiamo il vento intensificarsi. La mattina dopo l’aliseo è bello forte da SE. Ce ne andiamo a terra a fare una passeggiata lungo la spiaggia. C’è una strada sterrata che corre per tutta la lunghezza dell’esteso motu da sud a nord e porta al villaggio principale. E’ lunga circa 6 chilometri ed è circondata da palme e vegetazione lussureggiate, la ribattezziamo subito “l’autostrada”.
Le condizioni meteo precipitano in brevissimo tempo, il vento da SE ulula e comincia a soffiare sui 25-28 kt con qualche rafficozzo sulla trentina, il mare monta quasi subito e adesso sul reef di sud frangono ondoni mica da ridere.
Il cielo comincia a coprirsi, arrivano i primi squall, alcuni anche abbastanza violenti. Poi diventa tutto grigio e inizia a diluviare. Purtroppo dobbiamo aspettare almeno 5 giorni prima di vedere un netto miglioramento e prima di poter programmare la nostra tappa successiva, un balzo di circa 550 miglia verso le Isole Cook.
Le giornate si susseguono fra temporali, pioggia e vento forte. Le temperature si sono abbassate e non abbiamo voglia di andare in acqua. Per passare il tempo, decidiamo insieme ai ragazzi di Obiwan di andare a terra con il dinghy e di farci una lunga passeggiata lungo “l’autostrada” fino al villaggio principale che, come abbiamo visto, dista circa 6 chilometri.
Ci armiamo di ceratine e sandali, tiriamo il gommoncino a riva sulla spiaggia di fronte a noi e ci dirigiamo verso nord.
Camminiamo in mezzo a palme, arbusti di Tiare e la classica vegetazione di un atollo corallino. Di tanto in tanto ci imbattiamo nella capanna di qualcuno, i proprietari ci salutano come sempre, con sorrisi meravigliosi.
Finalmente raggiungiamo il villaggio principale, incontriamo Frederic di “Cap’a ‘cap” anche lui deciso a trascorrere queste giornate così grigie a terra con i polinesiani. Frederic è francese e grazie alla sua presenza non abbiamo problemi ad iniziare una lunga conversazione con i locali – il nostro francese è orribile e tante volte abbiamo molte difficoltà a socializzare.
I locali ci mostrano le loro capanne, anzi, ci invitano nelle loro capanne. Ci mostrano come vivono, dove dormono, dove mangiano. Capanne semplici, costruite ancora secondo tradizione, ma pulitissime e accoglienti.
Ci accolgono in una capanna adibita a “sala da pranzo”, ci rifocillano con cocchi appena colti.
Ci raccontano delle loro vite, di come, seppure siano così tanto isolati con il resto della Polinesia e del mondo, nessuno di loro abbia la minima intenzione di lasciare Maupihaa per trasferirsi in atolli più grandi o a Tahiti.
Quando arriva il momento di ritornare a Sud, ci caricano di cocchi e di pesce fresco appena pescato. Ci salutano affettuosamente. Iniziamo a scarpinare per farci altri 6 chilometri fino ai nostri dinghy in compagnia di un paio di cani che sembrano volerci scortare fino alla nostra destinazione finale. Ogni tanto piove.
Quando arriviamo ai tender siamo piuttosto stanchi. I cani sono ancora con noi e ci rimangono malissimo nel momento in cui li salutiamo con qualche carezza, saltiamo a bordo dei gommoncini e ci allontaniamo da riva. Forse si aspettavano qualche ricompensa di tipo mangereccio La giornata si conclude fra scrosci di pioggia e raffiche di vento.
Passano i giorni, finalmente smette di piovere, le nuvole si diradano e spunta il sole. Il vento è previsto in calo per poi fermarsi sui 20kt, ma il mare è ancora molto formato quindi aspettiamo ancora un po’ prima di muovere verso la tappa successiva del nostro viaggio.
Ce ne andiamo a terra, in spiaggia, passeggiamo fino al reef esterno per controllare le condizioni dell’Oceano. Quando rientriamo un anziano polinesiano ci saluta, capisce che arriviamo da una lunga passeggiata e subito ci invita a fermarci alla sua capanna e a sederci su una panca di legno vicino alla spiaggia. Grazie al nostro stentato e terribile francese capiamo che desidera rifocillarci con qualcosa perché siamo stati “troppo sotto al sole”.
Immediatamente raccoglie un paio di cocchi da una palma, li apre con il machete e ce li offre. Con parte del guscio rimosso con il machete, crea un paio di “cucchiaini” così possiamo raccogliere la polpa della noce una volta terminato di bere l’acqua al suo interno.
Passiamo un po’ di tempo in compagnia di quest’uomo, scopriamo che si chiama Edgard. Nel frattempo ci raggiunge una famiglia di Neozelandesi appena arrivati qui nell’ormeggio a Sud a bordo di un catamarano.
La sera tutte le barche all’ancora si consultano via VHF per quanto riguarda la possibile partenza da Maupihaa. “Gone with the Wind” e “Rebell” vogliono partire la mattina successiva, mentre noi e “Obiwan” non ne siamo molto sicuri. Le previsioni meteo riportano ancora vento sui 20-25kt (e va bene), ma ancora mare agitato con 4-5 metri di onda. Preferiamo aspettare un giorno in più.
La mattina seguente i nostri amici lasciano l’ancoraggio e si dirigono verso la pass. Ci teniamo in contatto radio VHF fino a quando è possibile, poi passeremo alla radio HF. Non appena fuori dalla pass, “Gone with the Wind” ci chiama riportando le condizioni del mare come “very rough” (molto agitato) e “squally” (passaggi di squall e temporali). Sia noi che Raffa e Giovanni siamo molto felici della nostra decisione di rimanere belli tranquilli e protetti all’interno dell’atollo per un giorno ancora, prima di volgere la prua a Ovest e lasciare per davvero la Polinesia.