Dopo aver atteso settimane – quasi tutto il mese di Dicembre – una finestra decente per muovere verso la Nuova Zelanda, pare che la meteo conceda un breve periodo favorevole intorno ai giorni di Natale.
E’ il momento di lasciare i tropici e di preparare Y2K – e noi stessi – ad affrontare un percorso per nulla semplice e un pochino insidioso a causa della meteorologia resa complessa dal passaggio dalla zona tropicale alla zona temperata di questa parte del pianeta. A rendere le cose ulteriormente problematiche, ci si mettono i ciclici e costanti sistemi di bassa pressione che settimanalmente investono questo tratto di mare, provenienti dalla Tasmania. Questi sistemi possono essere piuttosto insidiosi, a volte pericolosi per la loro intensità, per il fatto che per 1000 e più miglia c’è il nulla cosmico a parte l’oceano e si crea un mare enorme.
Durante l’estate australe, i sistemi frontali sono meno violenti, ma praticamente non smettono mai di crearsi. E’ molto raro non incorrere in un fronte durante questa navigazione. Insomma, per farla breve, bisogna pianificare il passaggio in modo da prendersi la situazione meno rognosa. L’obbiettivo è avere la meteo favorevole (che vuol dire anche – e soprattutto – zero vento) per le ultime 150-200 miglia. Solitamente è bene atterrare in Nuova Zelanda evitando come la peste i forti venti da W o SW generati dal passaggio di un fronte. Questo è possibile atterrando subito dopo il passaggio del fronte stesso o immediatamente prima.
C’è poco da cincischiare: si deve andare, correre per 1200 miglia, attraversare il più velocemente possibile, anche a motore, senza perdere tempo e senza sperare in una navigazione di lasco o di poppa. Qui si parla di bolinare per centinaia di miglia cercando di mantenere un angolo il più confortevole possibile e nel frattempo di far camminare la barca senza troppi sofismi.
Per riassumere: un’unica grande rottura di palle.
Il 20 Dicembre lasciamo Neiafu e Vava’u, percorriamo 60 miglia per raggiungere le Ha’apai e ancoriamo davanti al villaggio principale di Pangai. Qui vogliamo fare l’uscita ufficiale dal Regno di Tonga. La giornata è brutta e piovosa e un debole fronte provoca la rotazione del vento a Ovest creandoci non pochi problemi perché queste isole non sono ben protette da tali venti.
La mattina successiva la meteo si rimette e soffia una brezza da ENE. Una volta completate le pratiche burocratiche, facciamo il super pieno di gasolio (serbatoio principale da 237 litri più 16 taniche da 20 litri l’una), diamo un’ultima pulita alla carena, sapendo quanto siano rigidi i Neozelandesi per quanto riguarda il biofouling (antivegetativa) e salpiamo l’ancora.
Facciamo rotta su Minerva Reef, l’atollo di Nord, dove contiamo di fermarci un una o due notti in attesa che il solito fronte proveniente dalla Tasmania si allontani dalla Nuova Zelanda e svampi un po’. Attraverseremo questo sistema durante il nostro passaggio. Il fronte è abbastanza debole, ma ci aspettano due o tre giorni con venti dagli 11 ai 18 nodi da S-SE… prevediamo gioie a non finire.
Ha’apai – Nord Minerva Reef sono circa 350 miglia. Incontriamo poco vento varabile da E-ESE-ENE e oltre a Randa e Genoa ci aiutiamo con il motore. Riusciamo ad andare a vela soltanto l’ultimo giorno e l’ultima notte, dobbiamo comunque rallentare parecchio per evitare di arrivare davanti alla pass con il buio.
Il 23 Dicembre alle 8:30 eccoci qui, nel mezzo del nulla assoluto, fatta eccezione per questo atollo, quasi perfettamente circolare. Abbiamo il sole in faccia perché è ancora troppo presto, l’entrata è Ovest/Est, ma ci rendiamo presto conto che la pass è larga, profonda e senza pericoli, così decidiamo di entrare.
Una volta all’interno, la profondità è costante sui 15 metri, mare blu cobalto, pochissime teste di corallo pericolose. Ci dirigiamo verso Est-Sud-Est considerata l’attuale situazione meteo e diamo fondo in 10 metri di acqua cristallina, su sabbia. Una volta spento il motore soltanto il rombo dell’oceano che si infrange sul reef disturba la quiete assoluta che ci circonda. Siamo totalmente soli, ormeggiati dentro ad un anello di corallo, che emerge dagli abissi, un coso minuscolo se rapportato alla vastità del Pacifico. Fuori da qui il mare sprofonda a 2000 metri. Inquietante.
Come dicevamo, l’atollo è quasi perfettamente circolare, con un diametro di circa 4 miglia. Si può dare ancora praticamente dappertutto, ma la parte Sud-Sud Est offre un maggiore riparo perché durante l’alta marea qui una buona parte del reef rimane ben in superficie. Più in generale, l’atollo Nord di Minerva Reef non viene sommerso interamente – come succede invece per Beveridge Reef, altro posto che avremo modo di raccontarvi – con l’alta marea, e si balla decisamente di meno.
Rimaniamo a Minerva Reef per 2 giorni con una brezza anche fino a 22 nodi da ENE e stiamo piuttosto bene.
Trascorriamo tutta la giornata del 23 Dicembre a bordo a riposarci e a farci cullare mentre guardiamo la spuma creata sulla barriera dalle ondone lunghe del Pacifico. Il 24, la vigilia, la passiamo a bordo del dinghy a scorrazzare a destra e a manca, evitando di allontanarci troppo da Y2K, però. Non c’è anima viva, nessuno potrebbe aiutarci in caso di problemi. Di nuovo inquietante.
Ce ne andiamo a spasso sul largo reef durante la bassa marea, non ci immergiamo perché l’acqua è freddina e la brezza sui 20 nodi pure (eeeeggià, ormai ci si allontana dai tropici ). Lanciamo il drone e la sera festeggiamo la vigilia di Natale in maniera surreale.
La meteo viene confermata, così a mezzogiorno del 25 Dicembre siamo pronti a lasciarci alle spalle Minerva Reef, uno dei posti più isolati della Terra, e a volgere la prua direttamente su Whangarei, Nuova Zelanda (ci fa impressione dirlo e scriverlo sul diario di bordo). 850 miglia difficili.
Le giornate del 25 e del 26 Dicembre sono PERFETTE dal punto di vista della navigazione: una bella brezza prima da ENE, poi da NNE, quindi da Nord sui 15 nodi ci fa correre come fulmini. Il traversone, quasi lasco, è l’andatura preferita da Y2K. Cielo azzurro, terso, non una nuvola, tramonti spettacolari, vita a bordo super confortevole.
Ahimè sappiamo fin troppo bene che l’idillio non è destinato a durare. Il fronte ci aspetta al varco. Il 26 Dicembre sera, infatti, il vento muore. Diamo motore e cerchiamo di macinare miglia su miglia prima che arrivi il SSE.
Il 27, preciso come un orologio svizzero, eccolo lì: il minaccioso muro di nuvole grigie che avanza verso di noi. Pronti via, Sud, poi SSE nel giro di 10 secondi. 15 nodi, raffiche a 20. Pioggia, grigiume. Comincia a montare il mare, arriva l’onda lunga da Sud, dove il fronte è più cattivo, Y2K si stravacca di bolina – 45°-50° sull’apparente, cerchiamo di non andarcene troppo a Ovest perché poi arriva l’ESE e ci toccherebbe bolinare stretti ‘naltravolta (!!!! ) – e cominciano i quasi tre giorni di passione.
Dopo essere entrati nel fronte, la situazione migliora leggermente ed il vento si attesta su 14 nodi e si va benino. Non il massimo, ma più che sopportabile.
Quando poi il SSE si piazza sui 17-18 nodi, ci si mette pure l’onda ripida del vento, 1 metro e mezzo, qualche volta 2 sotto i temporali e i groppi. Y2K sbatte, dentro è il delirio.
Il secondo giorno di bolina è il più brutto perché il mare è montato ulteriormente durante la notte, picchiamo forte, siamo molto inclinati e sottocoperta la vita è dura. Le onde spazzano il ponte e quelle più cattivelle superano lo spray hood e arrivano in pozzetto rendendo tutto umidiccio.
Non riusciamo a mangiare, fare pipì è molto faticoso, dormire idem. I turni sono pesanti e ogni tanto si presenta il mal di mare. Ci avviciniamo al 33° parallelo e l’aria è molto più frizzante, le notti sono freddine e dobbiamo coprirci rispolverando cerate, berretti, calzettoni, stivali e felpe. Erano 3 anni che non indossavamo tanti strati.
Dopo una brutta notte, l’alba del 29 porta sempre SSE 12-17 nodi, piovaschi e cielo plumbeo. Iniziamo ad avere svariati ed interessanti momenti catartici: Max- “BASTA, vendo la barca”; Ale- “No, vabbè. Adesso TU (= il CPT) ‘giri’ sta barca e torniamo indietro sparati fino a Tahiti”; Max- “Si vira e ci si mette a 60°sull’apparente così stiamo meglio. Facciamo un tot di miglia in più (tipo un centinaio NDR), ma chissene”; Ale- “No ma… GRANDE IDEA quella di andare in Nuova Zelanda. GRANDISSIMA idea”; Max, consultando le previsioni meteo- “ca@@o, sto vento non gira prima di domani”; Ale- “E stastoria si ripeterà l’anno prossimo ???!! STAMINKIA ! Nonono, barca su cargo, cargo a Tahiti”. E via così per ore. Perché ragazzi… la bolina può anche fare figo per qualche ora, dopo centinaia di miglia, si diventa idrofobi e si vede la Madonna. E’ una certezza.
La notte ci becchiamo un ammasso nuvoloso più esteso del normale con annesso temporalino (i groppi a queste latitudini non ci sono più). L’ammasso fa girare il vento a Est. Adesso siamo davvero a 60° sull’apparente in rotta perfetta. Forse è arrivato il momento dell’attesa rotazione: a bordo facciamo il trenino e riti propiziatori impensabili.
Scorgiamo qualche stella che fa timidamente capolino dalla copertura nuvolosa. In base alle previsioni meteo appena scaricate, fra qualche ora ci lasciamo alle spalle il dannato fronte. Il vento si mantiene a ESE, navighiamo bene per il resto della nottata e quando al mattino del 30 Dicembre ci svegliamo sotto ampie schiarite di cielo azzurro, sappiamo che da questo momento il percorso è in discesa.
Mancano circa 120 miglia a Whangarei, ESE 10 nodi in calo, così come l’onda. Accendiamo il motore – il pulsare ritmico del nostro fedele Yanmar è una delizia per le nostre orecchie – e ci viene una gran fame. Festeggiamo con una colazione abbondante la ritrovata vita “normale” a bordo, ci spazzoliamo l’ultime gocce di miele dell’atollo di Tikehau (Tuamotu), i Neozelandesi ce lo porterebbero via e sarebbe un vero peccato.
Max, la cui chioma riccioluta è lievitata fino a dimensioni esplosive, ne approfitta del bel tempo per rendersi presentabile: un bel taglio ed è pronto per la Custom
NE 5 nodi, mare calmo, ondona lunga da SE. Filiamo tranquilli, è una bellissima giornata e anche se l’arietta è freschina riusciamo a stare in pozzetto. Il ponte, le attrezzature, draglie, candelieri, insomma tutto in coperta di Y2K è sepolto da stratificazioni geologiche di sale. Un pesce volante enorme si è spiaccicato sul ponte durante la notte: sarebbe già pronto da magnare, cottura al sale garantita !
Eseguiamo un rabbocco di gasolio giusto per stare tranquilli.
La sera, come da previsioni, il vento muore del tutto e il mare diventa una tavola immobile. Y2K si lascia dietro una lunghissima scia di plancton come non l’abbiamo mai vista fino ad adesso. Scintille luccicanti per decine di metri sollecitate dal turbinio dell’elica.
Siamo abituati a 3 anni di tropici quasi ininterrotti, ci sono 15 gradi ma per noi fa un freddo porco !
Dopo tanto oceano, sul plotter comincia a delinearsi l’inconfondibile contorno dell’isola di Nord della Nuova Zelanda. Mancano 90 miglia a Whangarei e ormai l’emozione è palpabile.
Issiamo la bandiera gialla della quarantena non appena entriamo nelle acque territoriali del paese: sono molto rigidi al riguardo e non si scherza mica qui! Tutte le imbarcazioni e navi in arrivo e in partenza dalla Nuova Zelanda sono monitorate non solo via radar o AIS (dove presente), ma anche via aerea. E’ fondamentale avvisare Dogana e Immigrazione almeno 24 ore prima dell’atterraggio previsto via radio SSB, oppure, se non si dispone di SSB, non appena a portata di VHF. E’ necessario comunicare: nome dell’imbarcazione, nominativo internazionale, numero persone a bordo, presenza di animali a bordo, posizione nave, ETA (orario previsto di arrivo) e porto di arrivo.
Con queste informazioni, gli ufficiali della dogana, dell’immigrazione e della quarantena ti aspettano al pontile Q del Port of Entry comunicato. Nel nostro caso il Marina di Marsden Cove.
Alle 6:00 del 31 Dicembre 2018, avvistiamo terra. C’è qualche nuvola, zero vento, fa freschino, ma la costa della Nuova Zelanda ci ipnotizza da subito.
Passiamo una serie di isole e isolotti – Mauitaha Island, Bream Islands e Guano Island, ce li lasciamo a dritta. Puntiamo su Bream Head e cominciamo a identificare il canale di ingresso all’imponente fiume Hatea, non appena ci avviciniamo a Frenchman Island.
Alle 8:30 il sole è già sufficientemente alto per regalarci il primo assaggio di una Nuova Zelanda dalle coste verdissime e profumate. Piccoli uccelletti tozzi, mai visti in vita nostra, nuotano sulla pancia, poi si immergono nuotando a velocità incredibili sott’acqua. Scopriremo poi, che altro non sono che i piccoli pinguini blu della Nuova Zelanda! Sono tanti e schizzano tutti intorno a noi, tuffandosi sotto la chiglia e riemergendo a decine di metri di distanza. I nostri primi pinguini! E poi cormorani e sule bianche dal becco giallo.
Nel nostro percorso di avvicinamento a Marsden Cove, incontriamo tantissime imbarcazioni a motore, una moltitudine di altre barche – qui sapete che ci sono più barche che Neozelandesi – escono a pesca e sono abbigliati con canotte, top, pantaloncini o, in alcuni casi, gli uomini sono a torso nudo e le signore in bikini. Noi siamo bardati tipo spedizione polare: ci osservano manco fossimo ALIENI, mentre noi osserviamo loro manco fossero pazzi .
Individuiamo il canale di ingresso e dirigiamo verso Marsden Point. Il canale è super segnalato anche di notte con boe e segnalamenti verdi e rosse. Siamo al momento di massima bassa marea (che qui varia da circa un metro a 2 metri a seconda delle fasi lunari) e dobbiamo prestare molta attenzione avendo l’accortezza di rimanere al centro del canale.
Superiamo Marsden Point e proseguiamo imboccando il fiume Hatea. Qui tutto si muove intorno a questa via d’acqua: cantieri, marina, approdi per le grandi navi cargo, villaggi e cittadine.
Percorriamo circa un miglio per poi virare decisamente a sinistra ed infilarci in un canalino strettino, dragato per mantenere una profondità minima, delimitato da boe verdi e rosse. Questo passaggio porta al marina di Marsden Cove. Ai lati, le dune di sabbia sono esposte con la bassa marea e ci vengono i brividi al pensiero di avere pochi centimetri sotto la chiglia. Fortunatamente è solamente fango e sabbia, però fa lo stesso impressione. Ci dovremo abituare .
Strani volatili approfittano della bassa marea per beccare nella sabbia delle dune alla ricerca di un bocconcino. Rimaniamo esterrefatti quando capiamo che i volatili tozzi e dal lungo becco ricurvo sono i famosi Kiwi! Noi, ormai tutti intenti a preparare l’atterraggio fra parabordi e cime, manco li fotografiamo. Avremo modo di rifarci.
5 minuti dopo, siamo ormeggiati al pontile della quarantena di Marsden Cove. Avvisiamo il marina del nostro arrivo e ci viene risposto che gli ufficiali della dogana sono quasi pronti per accoglierci. Oltre a noi, c’è una barca inglese – uno Swan 47 – che abbiamo intravisto a Minerva Reef. Si sono fermati soltanto due ore e son ripartiti subito, un giorno prima di noi. Sono arrivati alle 22:00 di ieri sera e noi ci domandiamo che razza di rotta abbiano seguito per aver perso così tanto tempo.
Fra l’altro non hanno avvisato, non hanno mandato alcun modulo precompilato. Scopriremo presto che gli ufficiali dell’Immigrazione e Dogana (nonostante i modi cordiali verso gli armatori inglesi) si sono molto, ma molto incacchiati.
Siamo stanchini e un po’ frastornati, rimettiamo velocemente a posto la barca sottocoperta in attesa di effettuare le pratiche di ingresso. Nel giro di 10 minuti gli ufficiali sono da noi.
Sono tutti di una gentilezza estrema, si presentano, cominciano a farci domande apparentemente innocue, ma con il preciso scopo di capire chi siamo davvero e se raccontiamo balle. Osservano la barca con attenzione, controllano la chiglia, prendono nota di tutto. Il primo a salire a bordo è l’ufficiale per la Dogana e Immigrazione. Con lui c’è anche una labrador munita di calzini imbottiti per evitare di graffiare teak e legni.
La cagnolona è addestrata a “sniffare” e individuare droga, ma anche grandi quantitativi di denaro contante. Per legge, è ammesso l’ingresso nel Paese di un valore massimo in valuta (qualsiasi valuta estera) equivalente a 10.000 NZD (dollari NZ) senza obbligo di dichiarazione.
La labrador gira tutta la barca, dentro e fuori. Terminato l’esercizio “sniffatorio”, è il momento delle carte e dei documenti: visto per 6 mesi TAAC, passaporti timbrati TAAC, formulario firmato TAAC. Il tutto si svolge in un clima super rilassato, scherziamo con l’ufficiale che osserva e commenta la traccia della nostra lunga rotta disegnata sul globo gonfiabile appeso al soffitto.
Terminato il suo lavoro, ci stringe la mano, “Welcome to New Zealand”, ci saluta e scende da Y2K. Tocca all’ufficiale della quarantena a cui facciamo millemila domande mentre recupera e sigilla in uno speciale sacco nero frutta e verdura fresche, aglio, cipolle, i contenitori delle uova di cartone (sebbene vuoti). Qui in Nuova Zelanda l’ambiente è unico e salvaguardarlo dalla involontaria importazione di forme di vita non autoctone è una vera missione. Qui non ci sono alcuni insetti che esistono nel resto del mondo, frutta e verdura non hanno gli stessi “nemici” che in Europa, per esempio. Importare un parassita delle piante dall’esterno significherebbe danni da centinaia di migliaia di dollari.
L’ufficiale vuole vedere la fattura del cantiere dove abbiamo alato la barca l’ultima volta per pulire la carena, gli chiediamo come fanno con le grandi navi cargo. Ci spiega tutto con il sorriso sulle labbra.
Gentilezza e cortesia fanno volare l’oretta necessaria per completare le pratiche che sarebbero state molto più veloci se non fosse stato per lo Swan. Come scritto sopra, l’equipaggio non ha alcun documento pronto, lo skipper non ha chiamato con la radio, non ha preallertato dell’arrivo. In pratica gli ufficiali non sapevano nulla, se li sono ritrovati lì. E’ inutile dire che gli hanno ribaltato mezza barca e fatto le pulci a livelli indicibili.
Siamo ufficialmente in territorio Neozelandese. Via la bandiera gialla, va su quella Kiwi. L’esaltazione unita alla stanchezza per la navigazione pesante ci mette addosso una strana euforia, una specie di “trip” adrenalinico. Prima di lasciare Marsden Cove e proseguire fino al Town Basin Marina di Whangarei dobbiamo aspettare l’alta marea altrimenti ci sono un paio di punti, poco prima e poco dopo un ponte apribile che dovremo oltrepassare, in cui scaveremmo un solco con il bulbo.
A Whangarei ci aspettano un bel po’ di barche amiche, in primis “Meccetroy” con Marina e Diego che non vediamo da più di un anno. E poi i cari amici di San Francisco Sylvia e Tom di “Cinnabar”, gli australiani Annie e Liam di “Gone with the Wind”, i tedeschi Birgit e Bernd di “Rebell”, Patrick di “Mi Vida”, Marin e Jeff di “Amarillis II”, Ellen e Martin di “Acapella”, Ulla e Pelle di “Loupan” (questi ultimi vecchi compagni di ARC nel 2015!). E poi ci sono tanti nuovi amici con cui abbiamo solo parlato per radio e che finalmente conosceremo. Insomma, una bella comunità di giramondo.
Ci stacchiamo dal pontile per le 13:30, la marea si sta alzando e arriverà al suo massimo alle 15:00. Impiegheremo circa un’ora per risalire il fiume e ad arrivare a destinazione, perfetto.
Ci immettiamo nello stretto canale di prima che adesso non è più tanto stretto: le dune ai lati sono scomparse, così come i Kiwi.
Viriamo a sinistra per ritrovarci nel canale principale. Seguiamo scrupolosamente mede e segnalamenti mentre a lato scorrono le immagini di prati verdi, boschi, cime rocciose e giardini con tanto di barche a vela parcheggiate sui propri invasi. Il rapporto dei Neozelandesi con il mare e con le barche è decisamente unico e meraviglioso.
Continuiamo a risalire il fiume, un percorso tortuoso di circa 10 miglia da Marsden Cove fino alla nostra destinazione finale. Passiamo cantieri, rimessaggi, officine, capannoni, tutto dedicato alla nautica, tutti con i propri pontili. Il cartello di un distributore di carburante ci fa sapere che rimane aperto h24, 7 giorni su 7.
Dopo 45 minuti ci avviciniamo al ponte mobile. Chiamiamo “Bridge Control” sul canale 18 del VHf e chiediamo il permesso di passare “inbound, direzione Town Basin”. Ci risponde una gentilissima voce femminile:” “No problem, the bridge will be opening shortly” (nessun problema, aprirò il ponte fra poco). “Shortly” sono 2 minuti. Giusto il tempo per attivare le sirene, bloccare il traffico e iniziare la procedura.
Superiamo il ponte, ringraziamo Bridge Control. La solita voce femminile ci augura Buon Anno. Non ci resta che navigare le ultime centinaia di metri all’interno del fiordo-fiume che nel frattempo si stringe sempre più fino a Town Basin Marina.
Il mare ha lasciato il posto all’acqua salmastra di un colorino invitante sul giallognolo-verdone. Ai cormorani evidentemente importa poco del colore e dell’aspetto di questa acqua: ci accolgono in massa tuffandosi come proiettili per agguantare le loro prede.
Finalmente percorriamo gli ultimissimi metri e raggiungiamo il marina. Abbiamo riservato un posto con pontile di servizio (finger) già da Ottobre, un sacco di tempo fa. Ci assegnano il D-03.
Ad attenderci troviamo Marina e Diego di “Meccetroy” e l’equipaggio di un’altra barca amica, “Alcyone”, con loro abbiamo fatto la traversata del Pacifico e ci sentivamo via radio. Siamo molto emozionati quando gli amici ci aiutano con le cime e una volta che Y2K è ben assicurata al suo pontile, realizziamo per davvero di essere atterrati letteralmente dall’altra parte del globo.
Saltiamo a terra, gli amici ci accolgono con baci, abbracci e uno dei più bei regali che potessimo sperare di ricevere: il “pacco di sopravvivenza dell’Italiano”. Il contenuto del pacco consiste in:
- Pane
- Prosciutto e Salame (gioia !)
- Mozzarella, VERA mozzarella italiana (somma gioia!!!)
- Bottiglia di Prosecco Valdobbiadene (gioissima!)
- Bottiglia di rosso Neozelandese (per provare)
- 2 SIM card telefoniche NZ ( siamo connessi e tecnologici!!!)
- Chiavi del cancello del marina
- Una t-shirt di “Meccetroy” per Ale
- E per finire… CILIEGIE! Cioè, quei frutti rossi, piccoli e tondi e croccanti (che uno tira l’altro) a noi ormai sconosciuti, 4 anni che non ne vediamo più uno manco col binocolo !
Siamo commossi, no… per davvero.
Diego ci invita immediatamente a cena a bordo di “Meccetroy”, un cenone di capodanno a base di succulentissime bisteccone con osso alla griglia, con qualche antipastino e c’è pure il Parmigiano Reggiano vero!
Ci viene detto che gli armatori della barca scozzese Desiderata (incontrati a Fakarava) hanno organizzato una festicciola di capodanno alle 22:00, per bere, bere, bere e divertirsi. Vogliamo partecipare, oltre che per festeggiare il 2019, per rincontrare tutti i nostri amici navigatori.
Naturalmente alle 21:30 versiamo in condizioni pietose, collassiamo a letto con la bolla al naso e festeggiamo il Nuovo Anno il mattino dopo
CONCLUDENDO:
- Nonostante i brutti pensieri, ovviamente non venderemo la barca.
- Torneremo in Polinesia, ma fra qualche anno e sicuramente a bordo di Y2K che naviga da sé, senza cargo.
- Il prossimo anno, quando sarà il momento di lasciare i tropici per la stagione dei cicloni, la rotta rimarrà la stessa, sarà ancora bolina e ritorneremo a voler vendere la barca e a organizzarci per spedirla a Tahiti con il solito dannato cargo.
- La Nuova Zelanda è una FIGATA PAZZESCA !
Magnifica avventura !!Buon tutto in NZ !!Salutateci gli amici di Meccetroy e Rebell!!!Bacioni e…BRAVI.
Grazie Giuliana!