Restiamo abbarbicati alla boa di Biras Creek per una settimana, aspettando la giusta finestra meteo per affrontare il passaggio verso St. Martin. Il fatto è, che non esiste una “giusta finestra meteo” per questo tratto di mare, con rotta Est, Sud-Est. Dobbiamo solo attendere che l’aliseo – da Est, Sud-Est appunto – si calmi lo stretto indispensabile. E’ il pegno da pagare per andare a sud dalle Isole Vergini. Avrete già capito il tipo di navigazione che ci aspetta (abbiamo già parlato della navigazione BVI – St. Martin QUI).
Lasciamo le BVI al mattino prestissimo del 21 Maggio, affrontiamo la navigazione più tremenda e scomoda che ricordiamo da anni. Un delirio assoluto contro vento e contro mare. Cerchiamo di fare dei bordi, ma l’angolo è strettissimo e la nostra ETA si allontana inesorabilmente. Proseguiamo con randa e motore. Sbattiamo miseramente sulle onde, ci impieghiamo una cosa come 16 ore per percorrere le circa 90 miglia che ci separano da Marigot Bay a St. Martin.
Quando ancoriamo alle 21:30 siamo talmente stanchi, manco avessimo fatto una traversata atlantica, che ce ne andiamo a dormire senza mangiare. Rimaniamo St. Martin il meno possibile, giusto il tempo per fare cambusa e fare il pieno di gasolio. Il 25 Maggio siamo di nuovo in navigazione, questa volta volgiamo la prua sulle due isole di St. Kitts & Nevis, arcipelago a noi totalmente sconosciuto.
Al di là del promontorio è presente un nuovissimo marina per super-yacht, ne vediamo ormeggiati un paio che svettano decisamente oltre la piccola collina davanti a noi.
Il tramonto è magnifico, ci godiamo una tranquilla cena in pozzetto in pace con il mondo, abbiamo anche la Wi-Fi del baretto sino alla sua chiusura.
Il mattino dopo non abbiamo fretta, facciamo colazione con calma e ci prepariamo per percorrere il breve tratto che ci separa da Nevis. E’ in arrivo un’onda tropicale, la giornata non è proprio caraibica. A tratti pioviggina, il cielo è pieno di nuvole e tira un ventaccio fastidioso.
Issiamo l’ancora e ci allontaniamo piano dalla nostra baia, direzione Sud, Sud-Est. La nostra destinazione finale è lo specchio acqueo antistante alla città principale di Nevis, Charlestown. Nevis è un’isola vulcanica, il suo vulcano, il Nevis Peak, è a tuttora attivo e il suo cono è chiaramente visibile e riconoscibile da lontano, praticamente sempre nascosto dalle nubi.
Nevis Peak è alto quasi 1000 metri e trasmette una sensazione di inquietudine, come d’altronde tutti i vulcani attivi. Anche a Nevis c’è un’area marina protetta, la costa è disseminata di boe gestite dal Nevis Port Office e sono totalmente GRATUITE, è comunque possibile dare ancora.
Alle 11 del 26 Maggio ci ormeggiamo ad una boa poco distante dal Four Seasons Resort, all’ombra del Nevis Peak, fra un piovasco e l’altro. Issiamo la bandiera gialla al di sotto di quella dello Stato.
Ci troviamo molto vicino alla città di Charlestown.
Sarà la giornata uggiosa, stile pianura padana a Febbraio, ma il Nevis Peak sembra ancora più minaccioso completamente ricoperto da nuvole grigie, fra un rafficone e l’altro.
L’isola è piccola e rotonda, ricoperta da uno strato di vegetazione tipica delle zone vulcaniche. Le spiagge sono scure, ricorda vagamente la nostra Vulcano.
Armiamo il dinghy e ce ne andiamo a fare le pratiche di ingresso. Lasciamo il dinghy al pontile dei pescatori di Charlestown. Gli ufficiali sono affabili e sorridenti. Non capitano molti Italiani da queste parti e sono tutti molto curiosi. I costi sono contenuti: paghiamo 130 EC (Eastern Caribbean Dollar. 1 EC = 0,37 USD) al Port Authority – si paga in base al dislocamento dell’imbarcazione – costo che comprende l’uso illimitato delle boe dell’isola per tutto il periodo di sosta. Paghiamo inoltre 30 EC di Dogana.
Mentre facciamo le pratiche doganali, adocchiamo un ristorantino minuscolo, si trova nello stesso complesso dell’area doganale, il Cotton Ginnery Mall. Preparano specialità locali molto invitanti. Ci riproponiamo di tornare per il pranzo l’indomani. Facciamo un giretto in città, passeggiamo sul lungo mare, che è davvero luuuungo, ce ne torniamo a bordo di Y2K.
Notiamo che il nostro “vicino di boa”, un’imbarcazione americana, è intento a parlare con un subacqueo che traffica in acqua intorno alla sua barca. Capiamo che sta pulendo la carena. Anche noi avremmo bisogno di una bella spazzolata. Max salta prontamente a bordo del tender e si accosta agli americani per chiedere informazioni. Questi ci fanno conoscere il subacqueo, un istruttore diving locale che fuori stagione arrotonda offrendo alcuni servizi, fra i quali quello di pulizia della carena, alle imbarcazioni di passaggio. Non ce lo facciamo ripetere due volte, prendiamo subito appuntamento